Un wine writer, ma di mille anni fa

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“Ciò che è il sale per i cibi il vino lo è per gli alimenti”. Lo dice Michele Psello. Uno che ha scritto di vino. Oggi si direbbe un wine writer, solo che è di un migliaio di anni fa. Perché è nato nel 1018 ed “è stato uno dei più grandi e fecondi studiosi della corte di Bisanzio”, come dice Lucio Coco nell’introduzione di uno di quei librini che un tempo si usavano definire “aurei”, d’oro. Il librino è quello che contiene l’Encomio del Vino, ossia la Laus Vini di Michele Psello: lo trovate nelle edizioni Leo S. Olschki di Firenze, ventiquattro paginette appena, lo si legge in un attimo.

Scriveva Psello: “Il vino è una cosa buona in ogni occasione e per tutti: per chi è di buon umore è un ausilio all’intensificazione dell’allegria; è buono per chi è sano per la conservazione della salute; è una consolazione per chi è depresso ed è una cura per chi è malato.” Sissignori, e poi “il vino rallegra il cuore, incita alla gratitudine, muove al canto, genera commozione”.

L’ubriachezza? Non è colpa del vino, è colpa di chi del vino ne abusa. È forse colpa del fuoco se chi gli si avvicina troppo si brucia “e non gode del calore in modo utile”? Ecco, “il vino dunque non deve essere rifiutato, da evitare è invece l’intemperanza, nella consapevolezza che per tutto la cosa migliore è la misura e la peggiore parimenti in tutto è sia l’eccesso che il difetto”. Il male è l’esagerazione.

È trascorso quasi un millennio da quando Michele Psello scrisse così del vino. Un grazie a Lucio Coco che ha voluto tradurre quest’antico testo e ne ha curato l’edizione.

Michele Psello, “Encomio del Vino. Laus Vini” (a cura di Lucio Coco), Leo S. Olschki, 24 pagine, 5 euro

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