Come fare il vino solo con l’uva

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“Come fare il vino solo con l’uva” è il sottotitolo di una pubblicazione di Angiolino Maule, vignaiolo che vive e lavora tra Gambellara e Montebello Vicentino, con la sua cantina La Biancara, nonché fondatore e guida di VinNatur, uno dei più noti movimenti del vino “naturale” italiano, e anche – me lo si conceda – il più rigoroso, imponendo agli associati l’onere probatorio derivante da continue verifiche analitiche. Il titolo è “La concretezza di un sogno“, ma credo che il sottotitolo sia molto efficace per illustrare il suo pensiero.

Qui sopra ho usato il termine generico di “pubblicazione” perché non so se definire il testo un manuale, un saggio, una miscellanea, un racconto o un diario. Di fatto, possiede tutte e cinque le componenti.

È un diario perché descrive i momenti cruciali della sua esperienza, è un manuale perché illustra alcune pratiche di campagna e di cantina, è un saggio perché discute di alcune teorie vitivinicole, che assumono talora i contorni di un approccio quasi filosofico alla viticoltura, ma ne cercano anche la fondatezza scientifica, è una miscellanea perché raccoglie i contributi di alcuni tecnici, è un racconto perché c’è un filo sottile che lega insieme i vari brevi capitoli, e quel filo lo definirei come “la coltivazione del dubbio”.

Si tratta di una dote, quella di coltivare il dubbio, che apprezzo moltissimo, e soprattutto mi pare vitale quando si abbia a che fare con il vino e con la vite, ambiti nei quali aleggerà sempre un’aura di mistero. Infatti, pur con tutti i passi in avanti che può fare la scienza agronomica, medica, chimica o enologica, il vino non verrà mai completamente disvelato, anche se Angiolino Maule sulla scienza fa pieno affidamento per spiegare tutto quanto sia spiegabile delle osservazioni che effettua sulla vigna e sui suoli.

Il plus insondabile è, per me, l’essenza del terroir, che raccoglie in sé elementi materiali e immateriali, razionali e umanistici. Continuo a essere convinto che se si riproducessero altrove esattamente tutte le condizioni note di un dato vino, non si otterrebbero comunque quello stesso vino. Il terroir non è riproducibile.

Dal libro traspare come Angiolino Maule metta correttamente e continuamente in discussione se stesso e quanto ha sin qui realizzato, convinto che in viticoltura ci sia un solo fine, e quel fine è avere l’uva migliore possibile per farci il vino migliore possibile. Sa però che non c’è una sola via per raggiungere quest’obiettivo, e anzi occorre costantemente ricercare ed evolvere. Così l’intento di Angiolino Maule mi pare che sia quello di formare mentalità.

Angiolino non insegna un metodo, Angiolino rende generosamente disponibile il proprio esempio per chi voglia intraprendere un proprio percorso secondo la propria personale ispirazione. Insiste, infatti, nel precisare che le pratiche agronomiche illustrate nel volume derivano dalla personale esperienza pratica maturata nei vigneti aziendali di Gambellara, e che quindi non necessariamente si devono o si possono applicare ad altri contesti. Apprezzo molto questi continui “distinguo” di Maule. Lui sa che occorre rigore d’approccio, ma al contempo sa anche che il dogmatismo non serve alla vigna. Neppure alle persone.

Quel che conta, e che traspare, è indirizzare il pensiero a una viticoltura finalizzata a massimizzare sia il benessere dell’ambiente nel quale fruttifica la vigna, sia il benessere stesso della pianta. È in questo modo che se ne ricava l’uva migliore che sia possibile avere, e quell’uva è l’unico “ingrediente” del vino che si farà. È così che si fa il vino solo con l’uva.