La formula si chiama “The Table”, all’inglese, e del resto il più grande promotore della città è stato un drammaturgo britannico di più di quattro secoli fa, William Shakespeare, che a Verona ha ambientato il triste amore di Giulietta e Romeo. Il ristorante Antica Amelia Bistrot non è poi molto lontano dalla casa posticcia di Giulietta e da quella altrettanto ipotetica di Romeo. Le porte del locale si aprono su un vicolo di un quartiere cittadino antico, quello di Sottoriva, che è sfondo ideale per immaginare il dipanarsi della fosca vicenda narrata dal Bardo dell’Avon. La stessa saletta nella quale dal 7 febbraio la titolare e cuoca del locale, Micol Zorzella, ha collocato un’unica, bellissima tavola grande da dodici persone ha lacerti di affreschi tardo medievali e travi vecchie. A me anche la formula, nuovissima, ideata da Micol ricorda le osterie del tempo antico. Infatti, ci si siede a quell’unico tavolo e si condivide la mensa, come facevano i viaggiatori che sostavano nelle stazioni di posta durante i trasferimenti a cavallo o in carrozza.
La ristoratrice veronese ha elaborato l’idea di proporre la propria cucina a un’unica tavolata da dodici persone, mossa dalla stessa esasperazione di tanti suoi colleghi, quella di non trovare collaboratori. “Non trovavo il personale qualificato – racconta -. Allora ho deciso: punto su di me e sulla mia idea di accoglienza. Punto su questo tavolo”. Dunque, via i dieci tavoli che aveva, dimezzati i ventiquattro coperti, al centro il tavolone, attorno al quale sedersi assieme a commensali conosciuti al momento. A pranzo c’è un menù piccolo, servito su dei carinissimi vassoi di legno, e si può arrivare quando si vuole. Invece, la sera c’è un menù degustazione e le regole sono semplici: i posti disponibili sono solo dodici, si cena tutti insieme, in un unico tavolo, alla stessa ora; ogni sera c’è un menù diverso, non modificabile (“ma ovviamente cerco di venire incontro a eventuali necessità” dice Micol) e viene proposta in abbinamento una selezione di vini al calice da scoprire al momento (ma per chi vuole c’è anche una piccola carta dei vini e in più ci sono certe profumatissime tisane fredde, che mi sono parse perfette per la cucina).
La raccolta delle comande e il servizio dei piatti e delle bevande li cura tutti lei personalmente, e gli ospiti possono dialogare con la cuoca, come fossero nel suo salotto di casa. In effetti, la tavola viene dal salotto di casa sua. Era un regalo di matrimonio, ci disegnava suo figlio e lei ci progettava i suoi locali. Lo ha restaurato e ha fatto aggiungere una bordura in ferro da un artigiano del posto.
La scintilla è scoccata durante la notte di San Silvestro. “Io ero più presente in sala ed è piaciuto: è stato bellissimo. Tutti erano contenti e si coglieva un cambio di atmosfera. Ecco allora l’idea di ricominciare da me. E da questo tavolo”. L’ipotesi è quella di sperimentare la formula “The Table” per sei mesi, poi deciderà se continuare. “Però non è un gioco, è la mia professione che si adatta ai tempi” sottolinea lei, e aggiunge: “Spero sia una strada percorribile non solo da me, ma anche da altri, come risposta a una ristorazione stanca, umanamente e professionalmente svalutata”. Dunque, la sua è una tavola che fa anche pensare a un nuovo stile di ristorazione e a un nuovo modo di fare convivialità. Pensare è un ingrediente prezioso della buona tavola, e della buona vita.