L’apologia del mangiare con le mani

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Con Allan Bay, gastronomo eccelso e autore di ricettari e di libri di cucina sempre capaci di ampliare e talora anche di sconvolgere gli orizzonti gastronomici miei e di chicchessia, condivido due passionacce carnali: bere il Muscadet Sèvre et Maine e mangiare con le mani. Nel primo campo posso ambire a battermi alla pari, nell’altro gli sono, purtroppo, molto distante. Ora che Allan Bay è in libreria con un nuovo lavoro intitolato “Elogio del mangiare con le mani“, poco ci manca che lo elegga a nume tutelare della mia tavola.

Sì, tavola, perché il mangiare con le mani di cui si parla è quello che si fa placidamente a tavola, non quell’altro frettoloso del panino mangiato per strada. Non che io detesti un panino con la mortadella addentato sul mio lungolago, e anzi mi piace moltissimo e mi dà gioia, quando rosetta e salume siano di qualità, e così pure mi piace mangiare le patate fritte, bollenti, nei cartocci, camminando; ma a tavola è un’altra cosa, e lì che il mangiare con le mani trova la sublimazione. “È doveroso specificare che il mangiare con le mani – puntualizza Allan Bay – non ha nulla a che fare con lo street food, dove si utilizzano sì le mani, ma sempre per strada o al massimo seduti su una panchina. Il mangiare con le mani di cui intendo parlare io è un atto estetico, artistico e quasi filosofico, da compiersi con la giusta dedizione, stando seduti a un tavolo”. Mi tocca applaudire, che oltretutto è un altro utilizzo estetico delle nostre mani.

L’oggetto oppositore del mangiare con le mani è la forchetta. “Il nemico di noi mangiatori con le mani è la forchetta“, la quale “infilza e trafigge, trapassa e spezza. E a noi, che siamo pacifisti, questa microviolenza più di tanto non piace”. (Ovviamente, il virgolettato è dell’autore.) Il coltello è perdonato, quando serva a porzionare il cibo che non lo sia già. Il cucchiaio è necessario per le zuppe, anche se a me piace bere il brodo dalla tazza, che mi toglie il fastidio del contatto delle labbra col metallo. Posso aggiungere che alcune volte, in ottimi ristoranti, il piacere del cibo mi è stato annullato da forchette che sapevano di amaro. L’argento, soprattutto, mi infastidisce. I cuochi, i maitre – dico io – dovrebbero quanto meno assaggiare in punta di lingua una posata del loro ristorante, dopo il lavaggio e l’asciugatura, per verificare che il metallo non alteri la percezione del gusto. Ugualmente, dovrebbero annusare un tovagliolo, che non abbia odori di lavanderia. Ma sono altri discorsi. Qui parlo del mangiare con le mani e per fortuna, se mangio con le mani, i guasti che arreca la forchetta non ci sono. Dunque, domando, perché dalle cucine non vengono serviti più spesso dei cibi che siano porzionati in modo tale da poterli agevolmente mangiare con le mani? Sarebbe un gesto rivoluzionario, e civile, perché mangiare con le mani migliora la vita, offre ogni giorno un tocco di piacevolezza in più. L’autore ne è convinto, e anch’io.

Vi è, tuttavia, un problema, più concettuale che empirico. Nell’epoca uniformata a un malinteso bon ton delle posate, mangiare con le mani è una gestualità dimenticata, una pratica che va reimparata da capo. Urge “una scienza del mangiare con le mani”. Il libro di Allan Bay ne codifica i precetti, li recupera dall’atrofia modernista e aiuta ad apprenderli.

I primi passi si fanno con i cibi più semplici, come il pane, la pizza e i formaggi, che anch’io ritengo barbaro mangiare in punta di forchetta, oppure con il sushi, fonte di comici contorsionismi con le bacchette usa e getta. Fatica inutile. Per il sushi, è la stessa etichetta giapponese a imporre l’utilizzo delle mani. Si prende con le dita e si intinge nella salsa di soia. Santo cielo, che grande liberazione!

Liberatorio è tutto il libro, ed è corposo, trecentotrenta pagine gustose. Quanto allo stile, il narrato è dichiaratamente “autoreferenziale, caotico, a volte ripetitivo, a volte lieve, a volte kulturni, a volte pesante” (kulturni è termine indicatore, grosso modo, di quanto è ammantato di intellettualità), la qual cosa si comprende poiché “è stato scritto col cuore, pasticcione di natura”; è un po’ come quelle chiacchierate lunghe che si fanno a tavola, quando si è in buona compagnia. Tra le ore migliori che ci si possano augurare.

Il volume, che ho già squinternato compulsandolo più volte in maniera convulsa e ossessiva, illustra dapprincipio la storia del mangiare con le mani; successivamente dice di quel che si può mangiare con le mani e di come farlo; quindi l’autore racconta quel che ha mangiato con le mani, in tutto il mondo e da tutto il mondo, e “non è stato facile decidere di quali parlare, dato che, con qualche accorgimento, si può mangiare con le mani un’infinità di piatti”. Infine ci sono le ricette inventate da Allan Bay insieme a Marcelina Car, a conforto di ogni mangiatore conlemanista, neologismo che è stato coniato in questo libro e di cui mi approprierò, per mio gusto personale. Inoltre, faccio mio l’ottimismo sul futuro del mangiare con le mani. Perché, sì, verrà il giorno nel quale quella cucina che siamo soliti chiamare alta si accorgerà del vincolo che si è autoimposta nel continuare a postulare che si mangi sempre e comunque utiizzando il coltello e la forchetta. Suvvia, cuoche e cuochi del mondo, liberiamo il piacere dal giogo delle convenzioni.

Alla Bay, Elogio del mangiare con le mani, il Saggiatore, Milano 2024, euro 18,00