Il passato remoto del Franciacorta ha un grande futuro

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Nel 1980, quella del Franciacorta era una denominazione di origine ancora giovane e incerta, istituita solo da tredici anni e molto diversa da come la conosciamo adesso. Il disciplinare prevedeva che si potessero produrre il Franciacorta Rosso e il Franciacorta Pinot e che il Franciacorta Pinot potesse “anche” essere spumantizzato, non per forza con il metodo obbligato della rifermentazione in bottiglia. Le uve ammesse per il Franciacorta Pinot in versione spumante erano il pinot bianco, il pinot grigio e il pinot nero, ma poteva succedere che i vivai vendessero come pinot un’uva all’epoca poco conosciuta qui in Italia, ossia lo chardonnay. Il Franciacorta moderno, fatto solo con il metodo classico, nacque sul finire di ottobre del 1995, con il conferimento della denominazione controllata e garantita.

Proprio nel 1980 accadde che André Dubois, chef de cave di importantissime maison della Champagne, chiamato l’anno prima in Franciacorta, a Cà del Bosco, da un già visionario e illuminato Maurizio Zanella, selezionasse un assemblaggio composto per il quaranta per cento da vini ottenuti dal pinot nero e per il sessanta per cento con l’uva uva bianca del pinot. La spremitura era stata fatta a mano, con un vecchio torchio Marmonier in legno. Solo molto più tardi si venne a scoprire che le vigne bianche del pinot erano maggioritariamente composte dallo chardonnay. Dunque, il vino era formato, in realtà, per il quaranta per cento dal pinot nero, per il trentanove dallo chardonnay e per il ventuno da pinot bianco. L’idea era quella di produrre un metodo classico millesimato da lungo affinamento, quando ancora i millesimati italiani erano cosa rara.

La base spumante fu elevata per cinque mesi in botticelle di rovere, le pièce da 205 litri, assoluta novità qui da noi; passò nelle bottiglie nel febbraio del 1981 (il tiraggio avvenne il 9 febbraio), per restare sui lieviti per quarantadue anni, sino al 2023; sette anni con le bottiglie coricate e il per il resto del tempo, molto lungo, “in punta”. Ora una parte di quelle preziose bottiglie, coccolate per quattro decenni, è entrata sul mercato. Porta il nome di Franciacorta Riserva Annamaria Clementi Dosage Zéro R.S. 1980. R.S. sta per “recentemente sboccato”. Ogni bottiglia è stata sboccata a mano, à la volée, la scorsa estate; nessuna aggiunta di liqueur. Ne usciranno, in tutto, quattromila.

Non mi si prenda per iperbolico, spropositato o enfatico se dico che questo vino è miracoloso: non ho mai sentito, nemmeno in Champagne, di un metodo classico, disponibile a scaffale, che sia stato sui lieviti per più di quarant’anni. È un evento che sconvolge gli schemi: rappresenta un tuffo all’indietro nel passato e un salto portentoso nel futuro; proietta la Franciacorta, Cà del Bosco e la stessa Italia del vino in una dimensione leggendaria. Ed è – credetemi – un vino buonissimo, dato che ho avuto il privilegio di berlo. (Ahimé, è comprensibilmente anche piuttosto costoso.)

Ora, io non so come si possa fare a coltivare un sogno per quarantadue anni. Anzi, quasi quarantaquattro, ormai, trattandosi di un vino del 1980. Del resto, era necessario assolvere all’impegno assunto con Dubois, il quale aveva raccomandato di tenerlo sui lieviti finché non avesse dato tutto quello che il tempo era in grado di dare. “Il tempo lavora per voi“, diceva il maestro di cantina. L’obiettivo – diventato da quel momento un credo di Cà del Bosco – era dare spessore al vino, permettergli di avere densità. “Abbiamo aspettato tutti questi anni prima di svelare questo vino, perché doveva essere speciale” confida Maurizio Zanella. Non c’è dubbio, è davvero qualcosa di speciale. Stefano Capelli, che a Cà del Bosco è l’enologo e fu prescelto da Dubois, del quale raccolse il testimone nel 1990, aggiunge che quella del 1980 fu un’annata difficile. Il vino era molto immaturo, bisognava aspettarlo. Lo si è aspettato senz’ansia. “Oggi ha raggiunto il suo apice evolutivo ed esprime al meglio il nostro savoir-faire passato e presente”.

Nel calice, il vino ha il colore della paglia accatastata nei prati sotto il sole dell’estate. I profumi sono straordinariamente complessi, avvincenti, cangianti. Trovo scritto nei miei appunti questa sequenza: la frutta caramellata, il cumino, il caramello, gli agrumi canditi, la nocciola e il timo, tanto timo, e il sottobosco, gli arbusti spezzati, il muschio. In bocca ha una tensione giovanile inusitata, e ha sale, molto, a ricordare l’origine morenica dei suoli. È un evolversi continuo. Assume sentori di iodio, di ostrica, di alghe marine; un che di miele, una traccia delicata di caffè macinato da poco, la mela cotogna. È, insieme, sontuoso e lieve. Non avrei mai pensato di poter bere un vino così, qui in Italia. L’ho bevuto, e mi si è aperta una dimensione fiabesca.

Di solito, alla fine delle mie presentazioni, attribuisco un punteggio ai vini di cui scrivo. Ma questa volta no, non ha alcun senso. Questo vino è al di là degli schemi, non lo puoi contenere in un numero. È in un altro pianeta, descrive un nuovo paradigma del bere. Dimostra che il passato remoto del Franciacorta ha un grande futuro, davanti a sé.

Franciacorta Riserva Annamaria Clementi Dosage Zéro R.S. 1980 Cà del Bosco

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