A dirla oggi, sembra una storia inventata e poco credibile, eppure ci fu un tempo, durato fino a pochissimi decenni fa, nel quale il vino più richiesto tra quelli del Veronese era il Bardolino, e in crisi allora c’era la Valpolicella, nella quale non era ancora esploso il doppio fenomeno, recente, dell’Amarone e del suo figlioccio, il Ripasso. In quel periodo, intorno agli anni Sessanta e Settanta e fino ai primi anni Ottanta, dal lembo del Trentino più prossimo al Veronese – la Vallagarina – si affacciarono sul territorio bardolinese, per commerciare vini, alcune famiglie atesine. Tra queste ci furono i Benazzoli, che si guadagnarono una solida reputazione di negozianti vinicoli.
Prese in mano le redini dell’azienda dal padre, un quarto di secolo fa Fulvio Benazzoli costruì una cantina a Pastrengo, nell’entroterra del Garda, mise su casa e ci trasferì la famiglia da Serravalle all’Adige, borgo trentino del comune di Ala. La figlia Claudia aveva sedici anni, l’altra, Giulia, cinque di meno. In terra gardesana, Fulvio si costruì una solidissima reputazione. Ho avuto modo di frequentarlo e ne ho sempre apprezzato la visione, la pacatezza, lo spirito di conciliazione e di pacificazione. Un territorio del vino ha bisogno di personaggi come lui.
Purtroppo, la morte se l’è portato via all’improvviso, nel giugno del 2021, ma aveva lasciato basi saldissime. Claudia e Giulia, enologa l’una, agronoma l’altra, navigavano già sicure nel mondo della produzione vinicola con una loro linea di bottiglie dalla personalità spiccata, e gestivano i vigneti di famiglia, allargatisi anche in Valpolicella. Oggi rendono omaggio al padre, mettendo sul mercato il suo ultimo sogno: è una specie di ritorno alle origini, uno metodo classico della doc Trento, una Riserva non dosata e coriacea, annata 2019, fatta soltanto con l’uva dello chardonnay, presa da una vigna scelta da Fulvio sulle colline vallagarine, che dominano la città di Rovereto. Lo chardonnay, per lui, era l’uva del cuore. In etichetta campeggia, in oro, la sua firma, scansionata tal quale dall’atto di acquisto di un vigneto e ripubblicata nelle dimensioni originali. “È la nostra madeleine, il segno della nostra origine trentina” mi dice Claudia; “il vino appartiene alla nostra identità, è la nostra famiglia” aggiunge Claudia. Sembra che parlino con una voce sola.
Ho avuto modo di bere questo Trento Riserva. Le vigne sono su pendii di calcare dall’impronta montanara, densi di pietrame di basalto e di ardesia. “Abbiamo scelto di non aggiungere la liqueur zuccherina per esaltare la mano dell’uomo che l’ha creato” mi spiega Claudia; “per papà e per noi, la montagna è sempre stata un punto fermo. Nostro padre ci ha insegnato a parlare chiaro, come si fa in montagna. Pensieri semplici, gente buona” mi confida Giulia.
Io credo che questo vino non rappresenti solo l’eredità di Fulvio. Semmai, è il compimento del percorso di Claudia e di Giulia verso la piena maturità vinicola. Le figlie che completano il progetto del padre, lo fanno proprio e gli danno una nuova prospettiva. È stata questa l’impressione che ho avuto bevendo il vino: è vero che c’è Fulvio che guarda in filigrana, da là dietro, ma sono Claudia e Giulia a confermare una rinnovata concretezza imprenditoriale.
Il vino mi è piaciuto. Nel calice ha bagliori cristallini, e poi è un susseguirsi continuo di freschezza dinamica e di avvolgenza cremosa, in una mediazione costante che mi ricorda l’animo di Fulvio; sullo sfondo si stagliano la mela asprigna, il fiore di sambuco, la montagna trentina. Un vino molto serio.
Trento Riserva Dosaggio Zero Benazzoli Fulvio 2019 Benazzoli
(90/100)