La crisi dei vino è il ritratto della crisi sociale

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Non giriamoci attorno: la crisi del vino è il ritratto fedele della contrazione del reddito disponibile dei consumatori. L’avevo già scritto a inizio aprile che “le formiche non bevono più“, ossia che la fascia un po’ più anziana della popolazione italiana, quella che storicamente beveva più vino, il vino non se lo può più permettere come prima, perché di soldi disponibili ne ha meno e la preoccupazione per la spesa sanitaria, giocoforza sospinta verso la sanità privata, è sempre più acuta. E non bevono nemmeno i giovani, perché anche loro di soldi in tasca ne hanno pochi, e di preoccupazioni invece ne hanno tante. Lo spiega benissimo Eugenia Torelli in un articolo redatto per Linkiesta Gastronomika: i giovani che hanno messo su famiglia sono “quelli che probabilmente fanno più fatica a spendere in vino e ristoranti, presi come sono a mantenere in equilibrio le finanze, tra figli piccoli (quando ci sono), mutuo o affitto da pagare” e non sta meglio “una marea di giovani che vivono soli o che, per risparmiare, vivono in affitto assieme ad altri oppure ancora in famiglia, lavoratori o studenti che siano. Perché con quello che guadagnano, prima di spendere soldi, i giovani devono pensarci bene“.

Per le sue valutazioni, Eugenia ha preso spunto da una recente indagine condotta da NIQ Italia per conto dell’Osservatorio del Vino di Uiv, Unione italiana vini. Sono andato a vedere la sintesi di quell’inchiesta, resa nota nel corso del Simei, il Salone internazionale delle macchine per l’enologia e l’imbottigliamento: la spesa per il vino oggi è concentrata soprattutto sugli “over 55, senza più figli a carico in casa e, spesso, (6 volte su 10) con un reddito sopra la media nazionale”. Quella fascia sociodemografica rappresenta il 59% degli acquisti totali di vino nella grande distribuzione italiana, che è poi il canale principe delle vendite. Al contempo, “le famiglie con figli (7,8 milioni) non arrivano al 24% della spesa complessiva, mentre le famiglie under 55 senza figli a carico si fermano a meno del 18%“. Ecco qui la fotografia chiarissima della motivazione della crisi di vendite del vino.

Insomma, piantiamola di piangerci addosso adducendo scuse pretestuose come le mutazioni degli stili di consumo dei giovani. Che i giovani siano volubili lo si è sempre saputo, non è questo il “vero” problema. I problemi sono la crisi dello stato sociale, che aumenta la spesa per i servizi essenziali, l’incompiutezza delle politiche del lavoro, che hanno compresso le retribuzioni giovanili, e il totale fallimento delle politiche degli alloggi, che ha reso costosissimo trovare un buco di casa in cui vivere. I giovani entrano nel mondo del lavoro molto più tardi che in passato, dopo aver trascorso anni e anni a studiare e a tirare la cinghia, perché gli alloggi dei “fuori sede” costano un occhio della testa, per poi ritrovarsi con una paga che non consente nemmeno, di nuovo, di pagare l’affitto di casa, se per lavorare devi spostarti a vivere in una città. Volete che il loro primo pensiero sia il vino? Ma dai, non scherziamo.

Quel che mi stranisce è che, di tutto questo, il mondo del vino non parli, non se ne occupi. Come vivesse in una bolla avulsa dalla realtà, in silente attesa di una miracolistica trasformazione economica e sociale, e nel frattempo aumenta i prezzi per far fronte alle minori vendite, acuendo il problema. Illudersi che la gente priva del pane si metta a mangiare croissant non ha mai funzionato.