Cà da l’Era è un’azienda agricola piccina che fa poco vino – cinque o seimila bottiglie in tutto – in una stanzuccia che già in quattro si fatica a starci dentro, e fa anche conserve e confetture e sughi in un piccolo laboratorio al piano di sopra, e io non so proprio decidermi se siano meglio i vini o le preparazioni alimentari, e anzi sono molto buoni entrambi, e infatti ho acquistato degli uni e delle altre, perché, in fondo, non occorre per forza scegliere.
Siamo a Pieve Vergonte, in Val d’Ossola, territorio alpino del nord del Piemonte, al confine con la Svizzera, e Cà da l’Era è uno dei simboli della rinascita dell’orgoglio contadino di questa terra. La ditta è intestata a Mara Toscani, che viene da una famiglia di floricoltori ed è food blogger e autrice di libri di cucina. È lei che prepara e confeziona gli alimenti conservati, e sono prodotti che giocano la carta di quella che chiamerei finezza contadina, stante che riescono a mettere insieme, in convincente equilibrio, la rusticità delle materie prime e l’eleganza della lavorazione; se avrete la fortuna di provare i suoi peperoni con la bagna cauda capirete che cosa intendo. In vigna, invece, ci lavora il marito Marco Martini, che è titolare di una piccola impresa edile, ma ha la campagna dentro alle vene, tant’è che si è preso l’incarico di guidare l’associazione dei produttori agricoli ossolani, che sta facendo belle cose, e soprattutto sta solleticando i giovani del posto a occuparsi della vallata, perché “la generazione scorsa ha preferito la fabbrica e abbandonato i vigneti, ma stiamo recuperando”, spiega lui, e non è più così raro che i proprietari anziani diano in comodato d’uso i loro vigneti ai giovani purché vengano “tenuti bene”, cosa che mi suscita quasi un moto di commozione, perché sa di legame con le radici e dà speranza di futuro. Oh, che bello quando ti viene il groppo alla gola.
Della cesellatura dei prodotti confezionati ho già detto. Invece, i vini che fanno a Cà da l’Era sono “quadrati”, come dicono Mara e Marco, giacché la loro scelta è stata quella di non cercare scorciatoie enologiche nella vinificazione del prünent, clone locale del nebbiolo, che in valle ha carattere scontroso e sanguigno. Ne ho assaggiato qualcuno in bottiglia e qualcun altro mentre ancora era in botte, e qui sotto riporto le mie impressioni.
Valli Ossolane Superiore Prünent 2021. Quando parlo di scontrosità del prünent, questa è la dimostrazione. Ci mette una vita ad aprirsi nel calice, chiede paziente attesa, e si manifesta pian piano con un bouquet di erbe alpestri essiccate, intrise di bizzosa tannicità. (86/100)
Valli Ossolane Superiore Prünent 2022. Quando l’ho provato era in botte, e mi sono segnato di cercarlo poi in bottiglia, perché ha quel guizzo che è tipico dei vini montanari, ed è soprattutto l’afrore di sottobosco ad avvolgerti, mentre il tannino spinge, indomito. (90/100)
Valli Ossolane Nebbiolo P di Pietro 2022. Fa solo acciaio. Salato, austero, tende alle foglie secche, al bosco, al pascolo alpino e sfoggia una speziatura sfaccettata, a tratti pepata. Non ha i profumi classici del nebbiolo: “sa di Ossola”, ed è una bella cosa. (88/100)
Valli Ossolane Rosso Cadalèra 2022. Viene da uve di merlot e di barbera di cinquant’anni di età, tutte a pergola; in mezzo, qualche pianta di nebbiolo. Fruttatissimo e vibrante, è saggiamente chiuso col tappo a vite. Rosso perfetto da merende di pane e salame. (87/100)