Mi piacerebbe che la vigna se la cavasse da sola

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“Mi piacerebbe che la vigna se la sbrigasse da sola, che vivesse in simbiosi con la flora e con la fauna. Come fa la quercia, che organizza tutta la micorizzazione, questa cooperazione tra i miceli e le radici delle piante. Se io preservo mille piante nella vigna, avrò cinquecento insetti, formiche e lombrichi che faranno vivere il terroir. Non si deve distruggere questa ricchezza”.

Sembra un manifesto ambientalista, e invece è il pensiero di gestione viticola d’un produttore francese che impersona uno dei miti del vino transalpino, Alain Brumont, l’uomo che ha portato alle vette del panorama enoico una zona “povera” come quella di Madiran.

Insomma, è necessario il rispetto della terra e della sua biodiversità, se si vuole che il terroir viva. Ma la biodiversità va mantenuta in forma spontanea, perché le sono opposte anche le semine monocolturali che alcuni praticano, oggi che fa tendenza la tecnica del sovescio. Brumont ritiene che avere mille tipologie di piante spontanee nel vigneto sia la prima garanzia per il terroir: “Lascio che facciano i semi, le taglio solo dopo la fine di maggio, per fare in modo che si perpetui la biodiversità batterica, enimatica, microbica e dei miceli”. Poi, d’inverno, ci pensano millecinquecento pecore a regolare e fertilizzare il suolo dei vigneti.

Interessante, vero? L’equilibrio, parola magica, nella quale credo, soprattutto nel vino.