Confido che la diversità di Vinitaly vinca di nuovo

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In questi giorni di assidue discussioni circa il futuro del vino, messo in forse vuoi dalla congiuntura internazionale, vuoi da un cambianento degli stili di alimentazione e di vita, ravvedo una contraddizione palese da parte di alcuni detrattori passati del Vinitaly, la fiera veronese del vino che sta per aprire la sua cinquantaseiesima edizione. Infatti, costoro avevano accesamente e costantemente rinfacciato a Vinitaly l’eccessiva apertura nei confronti del consumatore, sostenendo che una fiera dev’essere orientata esclusivamente agli affari, mentre adesso, con le vendite in discesa e il calo o l’abbandono del consumo da parte di una fetta più o meno larga di bevitori, dicono che il mondo del vino ha peccato di eccessiva chiusura nei confronti dell’utente finale. Insomma, l’opinione cambia allo stormire delle fronde smosse dal vento, atteggiamento che del resto appartiene ai vizi italiani e trova una lampante esemplificazione nei vizi della politica, così attenta a voltare gabbana ai primi mutamenti di umore della pubblica opinione.

Stando così le cose, parrebbe che Vinitaly abbia avuto ragione. Uso il condizionale solo perché i conti si fanno alla fine, ma di fronte ai tentennamenti del recente ProWein e all’apparente ascesa internazionale di Wine Paris, l’aver scelto, Verona, di rimanere coerente con se stessa, ed anzi accentuando il proprio carattere con il proporsi decisamente ai buyer esteri come il salone nazionale italiano del vino e con il rafforzare attraverso Vinitaly and the City la propensione a dialogare con il consumatore, sembra vincente. Sarebbe l’ulteriore riprova che, come spesso accade, la coerenza con la propria identità – pur con i dovuti ammodernamenti – è premiante. Lo scrivevo proprio alla viglia dell’edizione di Vinitaly dell’anno scorso: “Nello scacchiere globale ProWein e WineParis hanno entrambe l’ambizione di essere ‘la’ fiera internazionale del vino, mentre Vinitaly si tiene stretto il ruolo di fiera ‘regionale’, ossia specializzata su un’unica nazione, l’Italia, che peraltro resta uno dei tre maggiori produttori vinicoli del mondo. Dunque, la forza di Vinitaly sembra stare nella sua diversità”. Lo ribadisco adesso.

È proprio questo che, ottimisticamente, mi aspetto dal Vinitaly 2024: che la diversità di Verona funzioni ancora, in modo che possa far rifiatare il vino italiano, forse alle prese con il momento più difficile che abbia dovuto affrontare dopo la crisi del 1986. I giorni della fiera e quelli del fuorisalone daranno, probabilmente, la risposta, o quanto meno forniranno delle indicazioni molto significative, sulle quali poter ragionare.

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