Vino, è l’ora del si salvi chi può?

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D’accordo, il titolo è forzato, non è tempo di gridare al “si salvi chi può”, ma il mondo del vino sta incominciando a entrare in affanno. A settembre i dati di vendita hanno il segno negativo e c’è chi domanda drastiche riduzioni della produzione, perché di vino ce n’è troppo, molto di più di quanto possa assorbirne il mercato. Questo anche a prescindere dalla congiuntura, pur essendo chiaro che l’inflazione e i rincari energetici stanno tagliando le disponibilità economiche delle famiglie, a cominciare ovviamente da quelle meno abbienti. Non a caso a cadere sono soprattutto le vendite alla base della piramide distributiva, ossia quelle dei discount.

Il settore è in disequilibrio, ora più che mai. I segnali sono eloquenti. In Australia, il gruppo Accolade, uno dei maggiori player sui mercati internazionali, stando a quanto riferiscono Vitisphere e WineNews, chiede ai fornitori di ridurre drasticamente la produzione di vino rosso e propone tre misure alternative, a fronte di rimborsi economici: sostituire le vigne da rosso con quelle da bianco, ridurre del trenta per cento la resa o abbandonare i vigneti. A Bordeaux, come riferisce ancora Vitisphere, un gruppo consistente di vignaioli auspica contributi per chi accetti di estirpare i vigneti, rinunciando ai reimpianti, con la speranza di tagliare 15 mila ettari di vigna. In Italia, il report curato dall’Osservatorio del Vino Uiv-Ismea su dati Ismea-Nielsen informa che “una spinta inflazionistica ancora limitata, seppure crescente nel corso dei mesi, sta zavorrando le vendite della grande distribuzione e del retail nel suo complesso“.

A tutto settembre, il volume di vino venduto nella gdo e nel retail italiani è calato del 7%, con valori in ribasso del 3,5%. In nove mesi, mancano all’appello 55 milioni di bottiglie, praticamente una per ciascun italiano. I vini rossi sono quelli che pagano il pegno maggiore, scendendo del 9,2%. I bianchi decrescono del 7,5%, i rosa del 3,8%, gli spumanti del 2%.

I dati meritano qualche analisi di dettaglio. Per esempio, la “quasi tenuta” degli spumanti non deve illudere: il comparto regge solo per effetto degli “spumantini” a basso costo, che crescono del 12%. Invece il Prosecco e l’Asti segnano discese intorno all’8%, il Trento e il Franciacorta quasi del doppio. La disaffezione alle bollicine a denominazione o a igt colpisce anche il Lambrusco, le cui diverse tipologie scendono tra il 7% e il 12%.

Tutto sommato, non è gravissima la contrazione dei vini rosa, sulle cui disponibilità a scaffale incide negativamente la grave carenza di bottiglie di vetro bianco, essenziali per la presentazione di questo genere di prodotto (il poco vetro bianco in circolazione pare che sia stato riorientato soprattutto verso l’industria conserviera, lasciando a secco il settore vinicolo). Temevo peggio: la “corsa al rosato” mi sembrava aver subito una frenata maggiore. In qualche modo, ha forse aiutato il gran caldo dell’estate, di cui tuttavia avrebbero dovuto beneficiare anche i vini bianchi, che invece flettono per una percentuale doppia rispetto ai rosa.

Se tra i bianchi più venduti in gdo calano il Verdicchio dei Castelli di Jesi (5,5 milioni di bottiglie collocate in nove mesi, dato in discesa quasi del 7%), il Soave (4 milioni di bottiglie, in riduzione di poco meno del 4%), il Trebbiano d’Abruzzo e il Müller Thurgau trentino-tirolese (entrambi poco oltre i 3 milioni di bottiglie, con cali rispettivamente intorno al 4 e alll’11%), mostra invece un segno positivo (caso più unico che raro) il Vermentino di Sardegna (7 milioni di bottiglie, in crescita quasi del 2%).

Dicevo sopra della preoccupante discesa dei vini rossi, che fa il paio con le istanze di abbattimento della produzione che si stanno levando in Australia e in Francia, a fronte dell’aumento dell’invenduto. In questo caso, l’estate caldissima ha certamente giocato un ruolo di dissuasione al consumo, ma a mio avviso incidono anche altri fattori, in primis la crescente “fatica” del consumatore a bere vini dal forte tenore alcolico o che comunque vengono “percepiti” come tali. Tra le corazzate del vino rosso venduto in gdo, il Montepulciano d’Abruzzo (22 milioni di bottiglie in nove mesi) scende quasi del 10%, le vendite del Chianti (quasi 15 milioni di bottiglie) si contraggono dell’11,5%, quelle della Bonarda dell’Oltrepò Pavese (9 milioni di bottiglie) calano del 13%, il Piemonte Barbera e il Sicilia Nero d’Avola (entrambi oltre quota 8,3 milioni di bottiglie) manifestano entrambi flessioni superiori al 15%.

Segnalo a parte, tra le denominazioni di origine, la sostenuta crescita in gdo da parte dei vini dei Castelli Romani (+12%), non essendone nota la composizione interna tra bianchi e rossi (è sbagliato supporre che la componente maggiore sia quella bianca?).

E i vini più o meno appartenenti al mondo “naturale”? Macché, calano anche i vini biologici (che pure rappresentano appena l’1% dei volumi della gdo), “non solo in termini di bottiglie consumate (-2%, di cui -10% per i bianchi), ma soprattutto di valore generato (-6%)”, dice il rapporto Uiv-Ismea. Male.

Attenzione, il problema della contrazione delle vendite di vino non riguarda solo la gdo. Anche il commercio on line, che aveva trainato le vendite nel periodo della pandemia, ha mostrato una frenata considerevole. “La spinta alla crescita sul canale e-commerce – si legge nel rapporto dell’Osservatorio del Vino – sembra per ora essersi arrestata: a settembre venduti 5,4 milioni di litri (-15%), per un controvalore incalo del 23% a 34,6 milioni di euro, con la sorpresa del Trento, che segna una crescita del 6,6% in volume (ma si tratta di appena 15 mila bottiglie vendute on line in tutto).

Ripeto, non è il caso di fasciarsi la testa. Tuttavia, la perversa abbinata tra calo dei consumi e aumento dei costi qualche grattacapo lo sta determinando. Inevitabilmente, di fronte a una spirale del genere, a soffrire di più sono i vini a menzione geografica (i doc e gli igt), che hanno prezzi più alti rispetto ai vini generici, ed è altrettanto chiaro che le dinamiche future dipendono parecchio dall’evolversi dello scenario economico e sociale a livello globale, ma un ripensamento della filiera pare comunque necessario.