Il Vinappeso e i miracolosi errori della Valpolicella

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In Valpolicella gli errori casuali portano bene. Dev’essere così, per forza. Altrimenti non si spiega. Non si spiega cioè come da una botte di Recioto dimenticata dal cantiniere della Cantina sociale della Valpolicella, Adelino Lucchese, siano potute nascere per pura casualità le prime bottiglie di Amarone, negli anni Trenta, e sappiamo tutti cosa sarebbe poi diventato l’Amarone. Non si spiega neppure come, nella stessa terra valpolicellese, da un tentativo andato male di produrre qualcosa di simile al culatello (lì mancano le nebbie padane, la carne secca troppo), sia nato un nuovo salume che, accidenti, è proprio buono. Il fatto è che per cercare di “rigenerare” quella carne si è provato a immergerla nell’Amarone, e ci si è resi conto che gli aromi del vino venivano assorbiti senza però essere coprenti, ed anzi conferendo nuovi, inaspettati profumi. Spettacolare.
Questo nuovo salume l’hanno chiamato Vinappeso, e a inventarlo è stato Walter Ceradini, titolare di una storica macelleria intitolata a Elio Ceradini, ad Arbizzano di Negrar, un tiro di schioppo dalle cantina della villa dove nacque l’Amarone.
Insomma, il Vinappeso si chiama così perché la carne (maiali di allevamenti della Valpolicella o di Parma) viene appesa a macerare nel vino, e il vino è l’Amarone o il suo progenitore, il Recioto, e a seconda di quanto va avanti la stagionatura e di quali sono i vini usati per l’immersione, vengono fuori tre diverse tipologie di Vinappeso, che sono la Giulietta, l’Isabella e l’Aida, in ordine crescente di quota di Amarone e di durata di affinamento. Io ho assaggiato la versione Giulietta e l’Isabella, che sono diversissime, più delicata, quasi floreale la prima, più decisa, senza tuttavia eccessi, la seconda. Entrambe in ogni caso buonissime.

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