Quel che resta dei limoni del Garda

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Chi nei giorni scorsi fosse passato dalle parti di Torri del Benaco, sulla riva orientale del Garda, avrebbe potuto vedere degli operai al lavoro su una piattaforma sollevata da un’enorme gru. Erano impegnati ad aprire la serra dei limoni del castello scaligero. Per aprire, intendo togliere i vetri e le assi che erano state collocate nell’autunno per proteggere le piante di agrumi dall’inverno. Ogni anno è così, a novembre si costruisce un’enorme serra addossata alle mura medievali e in primavera si torna a dare aria alle piante. Una doppia operazione difficile e costosa – se ne fa carico l’amministrazione comunale -, che è tuttavia essenziale per salvaguardare una delle ultime grandi e storiche limonaie rimaste attive sul lago.
Ci fu un tempo, fra il Cinquecento e la fine dell’Ottocento, in cui nei giardini del Garda si produceva il cosiddetto “limone modello”, dalla buccia sottilissima e ricco di succo. Lo si esportava ovunque in Europa, era ricercatissimo. Poi vennero le malattie, gli inverni rigidi e la prima guerra mondiale, quando si utilizzarono le assi delle serre di limoni per le trincee, e gli agrumeti finirono.
Restano poche limonàre attive anche oggi. Quella di Torri è maestosa. Venne fatta costruire nel 1760 da Zeno Zuliani, dopo l’abbattimento di una parte della cinta muraria. Poggia sul muraglione del castello. Le piante svettano alte, alla ricerca della luce. Producono. Soprattutto, tengono in vita la storia dell’agrumicoltura gardesana. Quel poco che ne resta.