Mi piace il sapore amaro, però non lo sopporto nei vini. Se un vino è amaro, vuol dire che è fatto con uve non mature (e infatti i tannini verdi sono amari) oppure che ha un difetto. Tuttavia, non bisogna confondere l’amaro con l’amarognolo o l’amaricante, che considero invece sensazioni piacevoli quando mi si presentano in taluni vini. Generalmente, un vino che abbia un gusto lievemente amarognolo – come quello delle mandorle, per capirci – è gastronomico, ossia sta bene con il cibo, soprattutto quello sottoposto alle lunghe cotture della tradizione – parlo di stufati e di stracotti, anche di certi arrosti e poi degli spiedi o di alcune zuppe che restano a pipare, lente, nei cocci -, o anche con un semplice panino con il salame all’ora di merenda. Invece, è amaricante un vino che rammenti la china calissaia o il nocino, sentori che rendono austero, e per me gradevole, il sorso. Molto spesso entrambi – gli amarognoli e gli amaricanti – sono vini che vengono da territori di remota vocazione viticola o comunque da varietà di uve vetuste, a lungo cadute in abbandono. Sempre sono vini austeri.
Il vino rosso che si fa al Castello di Grumello con l’uva merera, varietà antica e rara, lodevolmente recuperata in territorio bergamasco, rientra nella categoria dei vini sottilmente amarognoli, e dunque dei vini da cibo, e interpreta il proprio ruolo con fedeltà, senza cioè andare in cerca di complicazioni aromatiche o concentrazioni enologiche. Mai e poi mai si permetterebbe di prevaricare le pietanze con cui si accompagna e nemmeno di distogliere i commensali dal piatto e dalla conversazione. Non urla, non strepita, fa bene la sua parte.
L’ultima annotazione, poi, è tutt’altro che marginale: la bottiglia del Medera – questo è il nome del vino – è chiusa con il tappo a vite, scelta virtuosa e felice, per me che sostengo questa modalità di chiusura.
Bergamasca Rosso Medera 2023 Castello di Grumello
(87/100)