Il Consorzio di tutela dei vini della Valpolicella dichiara che per l’Amarone “il 2024 chiude a -2% sull’anno precedente ma con un recupero del 9% nel secondo semestre. Un rimbalzo significativo – dice ancora il Consorzio -, se si considerano le difficoltà di quasi tutte le principali denominazioni rosse del pianeta, ma ancora leggero per uscire dalla complessità del periodo”. Apprezzo la sincerità del commento. Peraltro, temo che per l’Amarone, come per altri vini, il rialzo del secondo semestre sia soprattutto una conseguenza dell’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Sapendo che dopo l’insediamento avrebbe potuto applicare ai vini europei dei dazi consistenti, molti operatori americani hanno fatto scorta. Se questo fosse vero, adesso che gli importatori hanno i magazzini pieni, faranno meno ordini, e il primo semestre del 2025 per l’Amarone potrebbe rivelarsi nuovamente in salita, tant’è che a Amarone Opera Prima, evento organizzato a Verona dal Consorzio valpolicellese, molti produttori non mi hanno nascosto una certa dose di preoccupazione.
In più ci si mette che la nuova annata che sta incominciando a uscire, la 2020, presentata “in anteprima” nel corso della rassegna veronese, non è tra quelle memorabili. Il caldo e le grandinate hanno lasciato il segno, e alcuni non l’hanno neppure prodotta. Quasi tutti quelli che l’hanno vinificata hanno cercato di assecondare le apparenti nuove tendenze del mercato dei vini rossi, “alleggerendo” la concentrazione del loro Amarone, solo che la mia impressione, tratta dagli assaggi che ho effettuato, è che alcuni il vino l’abbiano a tal punto spogliato da lasciar trasparire soprattutto l’alcol, che è spesso piuttosto elevato e parecchio percepibile. In assaggio c’erano molte bottiglie di Amarone da 16,5 e 17 gradi alcolici, perfino da 17,5. Ora che quasi ovunque nel mondo serpeggia un’attenzione spasmodica all’impatto dell’alcol, simili gradazioni possono rivelarsi problematiche.
Probabilmente l’Amarone è un vino da ripensare, così come è da ripensare molta parte della viticoltura della Valpolicella. Addrittura, mi spingo a dire che forse l’appassimento totalitario e lungo non può più rappresentare un dogma invalicabile. Capisco che la mia affermazione possa suscitare forti contrarietà, o quanto meno delle perplessità, ma la realtà dei fatti è che se le temperature continuano a crescere, trascineranno ulteriormente verso l’alto i livelli di alcol che si ottengono da uve già stracariche di zuccheri poste ad appassire. Non mi pare sia più sostenibile. So peraltro che in Consorzio ci si sta interrogando molto seriamente sul futuro vitivinicolo, e la buona notizia è che in questa fase di incertezza l’istituzione consortile sta sempre più diventando polo aggregante, con un continuo incremento di associati. Una filiera compatta può aiutare a trovare la strada.
Tornando all’Amarone del 2020, ovviamente ci sono anche delle belle bottiglie. Qui di seguito ne indico alcune, senza pretesa di completezza.
Le conferme.
Amarone della Valpolicella 2020 Marion. È già in commercio, ed è stato il mio preferito tra i vini assaggiati. Il calice offre raffinate memorie floreali e succose tracce di mela rossa e di ciliegie asprigne di montagna. Il sale allunga il sorso. La cantina è a Marcellise, poco a est di Verona. (96/100)
Amarone della Valpolicella Valpantena 2020 Cantine Bertani. Lo stile Bertani, fatto di finezza e di eleganza, è inconfondibile e la corsa a ostacoli dell’annata difficile è stata vinta. L’emblema della sottozona della Valpantena. Non è ancora in commercio. (93/100)
Amarone della Valpolicella 2020 Roccolo Grassi. Marco Sartori si sta intelligentemente allontanando con gradualità da quelle concentrazioni che caratterizzavano i suoi vini nel passato, cercando anno dopo anno un’espressione di crescente “freschezza” del frutto, senza abdicare al proprio stile personale. Viene dalla Val di Mezzane. Non è ancora in vendita. (92/100)
La tradizione.
Amarone della Valpolicella Classico S. Giorgio 2020 Carlo Boscaini. Credo che il nome rimandi alla località di San Giorgio di Valpolicella, poco sopra Sant’Ambrogio, in piena zona Classica. Il vino è una perfetta espressione della tradizione. Chi volesse capire com’era un buon Amarone prima dei successi modernisti, deve bere questo vino. È già in vendita. (92/100)
Le new wave.
Amarone della Valpolicella 2020 Torre di Terzolan. Viene dalla Val Squaranto, zona “fresca”, e si sente. Sarà in commercio tra un anno e mezzo. Offre austeri sentori di fiori appassiti e di foglie secche, e sotto scalpita però una ciliegia succosa. (91+/100)
Amarone della Valpolicella Classico 2020 Benazzoli. “I cinquecento metri di altitudine si avvertono”, mi ha detto Giulia Benazzoli. Ha ragione, qui la freschezza è ben presente e intride una ciliegia matura e croccante, come vogliono i vini della zona Classica. Non ancora in commercio. (90/100)
Amarone della Valpolicella 2020 Contrada Palui. Spezia finissima e fiori, erbe mediterranee e sale, buccia di arancia essiccata e frutto minuto. La Val Squaranto si conferma una delle più interessanti nuove frontiere dall’Amarone. Sarà sugli scaffali più avanti nel tempo. (89+/100)
Amarone della Valpolicella 2020 Roccolo Callisto. Le vigne sono a Parona, frazione fluviale del comune di Verona. I fiori macerati e il fogliame di sottobosco accompagnano il frutto. Un sorso di apprezzabile austerità. Non è ancora in commercio. (88+/100)