Pierre Frick, la biodinamica e due vini magnifici

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Considero Pierre Frick uno dei nomi fondamentali del vino europeo. Un vero e proprio pioniere, come del resto lo definiscono, appropriatamente, in molti. Pionieristico fu il suo passaggio alla coltivazione biologica, nel 1970. Pionieristico fu intraprendere la strada della biodinamica, nel 1981. “Abbiamo voluto aumentare la vitalità dei terreni, delle viti, dei mosti e dei vini, con un lavoro armonico in cantina” hanno raccontato i Frick (Thomas, Cécile, Chantal e Jean-Pierre) nel corso di Millésimes Alsace, l’anteprima dei vini alsaziani, meritoriamente allestita in forma digitale, con invio di campioncini a giornalisti e operatori, dal Conseil Interprofessionnel des Vins d’Alsace.

Ho potuto così assaggiare qualche loro vino, trovandone le conferme che ero pressoché sicuro di rinvenire, e rinfrancandomi così dalle svilenti assurdità delle recenti polemiche italiane sulla biodinamica, accusata di essere una pratica “esoterica e stregonesca”, mentre – insisto – quando consapevolmente gestita da un vignaiolo attento offre vini di una luminosità organolettica straordinaria. Da che cosa derivi questa luminosità non lo so, e francamente poco m’importa saperlo. So solo che il salto percettivo si avverte e so anche che ancora non lo si è razionalmente spiegato, così come la scienza non ha saputo spiegare molte cose nel tempo, prima che qualcuno avesse l’intuizione corretta. A chi obietta che dei vignaioli come i Frick saprebbero comunque fare del vino buono anche senza la biodinamica, rispondo che di fare ricorso alla biodinamica l’hanno scelto proprio per fare più buono il loro vino. Dunque, se gli si riconosce dell’abilità, bisogna riconoscere che di quest’abilità fa parte la scelta agronomica adottata. Altrimenti si svilisce il senso del loro fare vino.

La famiglia Frick si prede cura complessivamente di dodici ettari di vigne suddivise in una trentina di appezzamenti, su un mosaico di una dozzina di terroir prevalentemente calcarei. I più lontani distano una quindicina di chilometri tra di loro. “La parcellizzazione del nostro vigneto – sostengono – è una ricchezza. I nostri numerosi vitigni alsaziani scelgono il loro posto specifico a seconda del terreno e dell’esposizione. Possiamo così produrre da venticinque a trenta cuvée uniche ogni anno. Ogni sito ha le sue dinamiche dipendenti dalla storia, dal suolo, dalle condizioni climatiche e dai vincoli legati alla sua configurazione, e richiede quindi un lavoro più lungo e cure specifiche”. Ecco, questo – proprio questo – è il senso vero di fare dei vini di terroir.

Il frutto del terroir va poi conservato anche con la cura dell’imbottigliamento, che avviene dopo lunghe soste dei vini sulle fecce e, in genere, senza aggiunta di solfiti. Con la rinuncia, da molti anni, al sughero, rimpiazzato dalla chiusura in acciaio, e anche questo fu pionierismo. “L’eliminazione del tappo in sughero sconvolge l’immaginario e ravviva l’odorato e il gusto” dichiarò qualche tempo fa Pierre Frick, che a proposito degli imbottigliamenti in sughero, aggiungeva così: “Al 4-5% di bottiglie con gusto di tappo, facilmente identificabili, si aggiungono almeno altrettante bottiglie ‘deformate’ per influenza del tappo. Questa seconda categoria è molto più sorniona, perché il degustatore attribuisce al vino l’opacità che invece deriva dal tappo”. Parole sante.

Aggiungo un’altra osservazione, e questa deriva non dai recenti assaggi, ma da precedenti bevute: i vini bianchi di Pierre Frick invecchiano – si affinano – magnificamente. “La pazienza data all’affinamento di questi vini ci è restituita dalla loro longevità in bottiglia” sostengono i Frick. Ci credo. Ho sempre sostenuto che la pazienza è una dote fondamentale per il vignaiolo e per il bevitore. Senza la pazienza si disperde la bellezza.

Ora, un breve sguardo a due dei vini assaggiati, fornitimi dal Consorzio alsaziano in campioncini da tre centilitri. Due vini che avrò cura di cercare in bottiglia grande. Per mettermeli in cantina.

Alsace Grand Cru Vorbourg Riesling 2018 Pierre Frick. Ditemi come si fa a non restare fulminati da un vino così. Nocciole, tante nocciole appena raccolte, manciate di nocciole prese nel bosco. Persistenti, gustose, avvolgenti, infinite. Ha un frutto “vero”, questo vino, saporito, appagante. Di sotto, appena tratteggiata e in divenire, quella vena d’idrocarburo e di sulfureo che appartiene al vitigno e alla sua interazione coi luoghi. Un fuoriclasse. (95/100)

Alsace Grand Cru Eichberg Gewurztraminer 2017 Pierre Frick. Oh, che naso magnifico, di frutta secca e rose sfiorite e frutti canditi e ananas disidratato. In bocca il vino è possente, determinato, come qualcuno che sappia il fatto proprio. Inaspettate ed eleganti, ecco però comparire le tracce floreali. Di nuova la rosa, certamente, e poi la violetta. Vino da conversazione, da chiacchierata serena tra amici, godendone l’interminabile persistenza. (93/100)