Il cristallino Amarone d’altitudine di Michele Tessari

cima_caponiera_2017_500

Michele Tessari è come uno di quei produttori discografici che sfornano un brano dietro l’altro e non sbagliano un colpo; che so, un Dr. Dre, un Nile Rodgers, un Max Martin. Lui non fa musica, fa vino, ma come i dischi dei grandi produttori, i vini che fa, li indovina tutti. La nuova uscita sotto il marchio della sua Ca’ Rugate è un Amarone Riserva che mi ha lasciato di stucco, e come me ha sorpreso i miei commensali, e soprattutto c’è che stavolta la sfida era di quelle toste perché lui, che ha vigne e cantina nell’est del Veronese, è andato a fare l’Amarone nella zona classica, quando di solito succede il contrario, ossia che sono i classicisti ad allargarsi verso oriente. Dunque rischiava l’osso del collo, come succede agli iconoclasti, e invece ha tirato fuori un nuovo successo.

Sì, parlo di successo, perché questo il Cima Caponiera di Ca’ Rugate è un Amarone talmente classicista da proiettarsi con slancio verso il futuro prossimo della denomimazione, scevro dalle incrostazioni degli ultimi tre o quattro decenni di rossi tutto muscolo, dolcezze e palestra. Dimostra che un altro Amarone può esistere, e può basarsi sulla finezza, nonostante l’alcol che ovviamente è consistente, e che tuttavia non si avverte al sorso, perché quando c’è l’equilibrio c’è tutto, e qui l’equilibrio eccome se c’è. Ammetto, infatti, che se, nello stappare la bottiglia, ero piuttosto intimidito a leggere quel 15,5% in etichetta, al sorso non ho trovato sovrabbondanza, né densità glicerica, ma piuttosto un’eleganza quasi rarefatta, che credo poggi su due solide fondamenta, una nel vigneto e una nel saper fare.

La vigna è alta rispetto alla denominazione. Si trova nella frazione Monte del comune di Sant’Ambrogio della Valpolicella, a seicento metri: da lì si vede in lontananza il lago di Garda. Il saper fare è quello di un’azienda che ha nel proprio imprinting la coltivazione di vigne soavesi dalle pendenze forti per trarne bianchi affilati e nervosi. Una combinazione che si dimostra perfetta, nonostante un’annata come la 2017, partita male, con le gelate tardive, che peraltro lassù non penso abbiano colpito, e continuata peggio, con una lunga estate di siccità, probabilmente attutita in collina estrema dall’altitudine. Al proposito, Michele Tessari ha scritto che “nel seguire l’ispirazione è stato considerato un fattore con il quale occorre e occorrerà confrontarsi per chi deciderà di continuare a fare il vigneron: il cambiamento climatico”, e questo ha certamente contribuito a spostare l’attenzione verso le vigne in altura, in passato le più ostiche da coltivare, e oggi forse le più propizie, a condizione che si possieda l’attitudine e l’esperienza per coltivarle. “Ca’ Rugate – dice Michele – ha alle spalle un’attitudine spiccata e solida verso il lavoro in vigne complicate, alte e ripide. Questa somma di esperienze ha orientato la scelta di Cima Caponiera. I circa seicento metri di altitudine della vigna sono a testimoniare la volontà e l’obiettivo di concepire vini dall’energia pulsante, anche quando ci si trova di fronte ad una tipologia di per sé molto strutturata”. Che dire se non che quell’energia pulsante la si ritrova tutta, cristallina, nel bicchiere? E ci si trova anche la luminosità di quell’alta collina affacciata su orizzonti larghi. La si percepisce fin dal primo goccio che scende nel calice, brillante d’un rubino sottile, quasi di pastello. Premessa di un incontro inatteso e gioioso.

Amarone della Valpolicella Classico Riserva Cima Caponiera 2017 Ca’ Rugate
(96/100)

In questo articolo