Il dosage e l’opportunità di fidarsi del palato

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Senza voler fare una lezione tecnica, che non sarebbe opportuna su queste pagine, credo che sia comunque interessante ragionare sulla funzione del dosage nello Champagne e sugli effetti che produce sul vino. Quella del dosaggio e un’operazione che viene svolta subito prima della tappatura finale della bottiglia, quindi dopo la rifermentazione e il successivo dégorgement. In genere, il liquido perso dopo quest’ultimo passaggio viene sostituito con una miscela di zucchero e di vino della Champagne, destinata a dare un tocco particolare. Generalmente si possono utilizzare per la parte zuccherina lo zucchero di canna o il cosiddetto mcr, cioè mostro concentrato rettificato, il cui vantaggio è che si tratta di un prodotto più neutro, mentre lo svantaggio è che non sempre si conosce la provenienza del prodotto, ma oggi i lotti vengono certificati e si può chiedere che la provenienza sia dalla Champagne. Un altro problema è che a mio avviso col tempo peggiora la qualità del vino. Nel passato si usava dello zucchero addizionato con sciroppo contenente succo d’uva e vino.

Ogni produttore ha il suo tocco, che lo identifica agli occhi del consumatore. Il dosage serve dunque per definire lo stile di ogni produttore, come fa una spezia per un cuoco. È un elemento che contribuisce al risultato finale, uno dei tanti che entrano in gioco, come l’assemblaggio di vitigni ed annate, l’uso del legno, il tempo di sosta sui lieviti e via discorrendo. Sono tante le variabili e ciascuna ha una sua precisa funzione. Qualcuno magari si starà chiedendo che cosa rappresenta il non dosé – il non dosato – sul mercato. Ebbene, parliamo appena dell’uno per cento. Ben poco. Si tratta di una versione che esalta la trasparenza del terroir, ma è necessario lavorare bene la vigna, cosa non scontata in questa regione. Il non dosato non è necessariamente più fresco o secco, anzi, ed è spesso meno adatto alla gastronomia rispetto ad un brut, risultando più unidimensionale.

Vediamo alcuni esempi di vini con dosaggi diversi che ho avuto l’opportunità di assaggiare.

L’Hoste, Champagne Les Loges 2015. Tutto chardonnay da vigne di oltre 50 anni, 48 mesi sui lieviti. Fiori bianchi e agrumi, palato maturo, largo, sembra abbastanza dosato ma al tempo stesso secco. Dosaggio di 3,5 grammi. Qui influisce il suolo di marne e gesso e la maturità dell’uva.

Francis Mondet, Champagne Blanc de Blancs. Siamo nella Valle della Marna. Minerale, nocciola, mela. È morbido, con un finale asciutto e di iodio, e un tocco più maturo di ananas. Finale di agrumi, una bella complessità, giovane e con prospettive di crescita. Dosaggio 8 grammi.  Qui abbiamo una complessità maggiore apportata dal dosaggio.

Denis Chaput, Champagne Promesse de l’Aube. Un blanc de blanc dall’Aube, più conosciuta per i pinot che per lo chardonnay. Nota fumé, mela, una minore complessità. Più largo e meno lungo, bella salinità in finale, con ricordi di erba tagliata e menta. Dosaggio a 7,5 grammi e 60 mesi sui lieviti. Sembra più verticale di altri, meno dosato.

Benoît Cocteaux, Champagne Origine. Blanc de Blancs, assemblaggio di quattro annate, dal 2011 al 2014. Trentasei mesi sui lieviti. Naso classico di nocciola, fiori, lieviti, nota verde e aromatica, una certa ricchezza. Sensazione replicata al palato, sensazioni fumé, sale, spezie, molto minerale e lungo. Sembra un vino dosato e invece siamo di fronte a un Pas Dosé.

Alla fine resta l’impressione che la questione del dosage non sia di così semplice decifrazione. Molte scelte influiscono sul risultato finale e fidarsi semplicemente della dicitura Brut o Pas Dosé può anche portare fuori strada. Come sempre è importante conoscere il produttore, il suo stile, il territorio. E fidarsi del proprio palato.