Si può fare politica anche con un bicchiere di vino

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Quel che voglio dire è che ci sono molti modi di occuparsi di politica, se alla politica viene (ri)attribuito il significato originario di cura della polis, della città e dunque della cittadinanza e dunque delle persone. Insomma, se l’obiettivo è davvero quel bene comune in riferimento al quale tanto si parla e purtroppo poco si agisce da parte di molti dei professionisti della politica intesa come conquista e conservazione (e perpetuazione) del potere.

Significa che puoi fare politica all’interno dei soggetti politici, e dunque dei partiti e dei movimenti che si chiamano, appunto, politici, ma la puoi fare anche offrendo un tuo personale contributo nell’ambito di quelli che sono definiti come i soggetti sociali, ossia le associazioni, i circoli, le varie forme aggregative del sociale, e la puoi fare anche agendo nell’universo dei soggetti economici, qualora si abbia a cuore quella che viene definita la responsabilità sociale d’impresa, e dico che la puoi fare perfino da solo, pensando e agendo politicamente (ad esempio, scegliere un imballo ecologico al posto della plastica è agire politicamente, perché il gesto è personale, ma il fine è collettivo).

Puoi fare politica anche bevendo un bicchiere di vino, oppure creando le condizioni perché altri ne bevano in maniera consapevole. La quale consapevolezza, nel caso del vino, ha per me due accezioni fondamentali. La prima è che, se ne hai la possibilità, è molto meglio bere un vino che sia frutto di processi produttivi maggiormente sostenibili, sia sotto il profilo ecologico, sia sotto il profilo sociale (non bevo vini di chi inquina l’ambiente umano, ad esempio malpagando i lavoratori o predicando la discriminazione). La seconda, ma solo per una gerarchia espositiva, è che valga la pena spendere un po’ di più per acquistare il vino di chi fa agricoltura nei territori marginali, in primis la montagna, dove vivere e produrre è particolarmente faticoso.

Tutto questo per dire che ho partecipato a una piccola fiera che risponde alla sensibilità politica di cui ho scritto sopra e che nasce proprio con un preciso obiettivo politico, che è quello di dare voce alla fatica dei vignaioli dell’arco alpino che fanno viticoltura nel segno della sostenibilità. La fiera di chiama Vinifera, si è svolta a Trento, ed ha per organizzatrice una “associazione di idee” che porta il nome di Centrifuga e ha sede a Rovereto.

Centrifuga si presenta come una associazione “composta da giovani professionisti con competenze diverse“, ma nessuno con una competenza specifica nel settore del vino, pur nutrendo profondo interesse “per il vino inteso come prodotto della vite, pianta che disegna e scolpisce il nostro territorio, frutto del lavoro, della sapienza e della cura dei vignaioli”. La modalità in cui si estrinseca tale passione (il termine è quello citato da loro) è la creazione di “spazi di conoscenza, scambio e dibattito tra produttori, consumatori e cittadini”. Vinifera è stata – è – uno di questi “spazi”, concepito come momento che “permette il confronto e la condivisione del sapere, per stimolare la consapevolezza sul ruolo della viticoltura, dei vignaioli e dei consumatori che ne fruiscono”.

Se funziona?

Funziona. Nel piccolo spazio di Trento Expo hanno trovato accoglienza un centinaio di vignaioli che sono anche “artigiani che hanno scelto una viticoltura orientata alla sostenibilità e alla tutela del territorio“. I quali hanno proposto le loro produzioni ad un pubblico che mi ha assai colpito per composizione e atteggiamento. L’età media, a occhio e croce, era intorno ai trentacinque anni, e l’approccio era curioso, ordinato e attento. Una boccata d’ossigeno nel caos contemporaneo.

Ci si chiederà, alla luce della lunga premessa (che premessa peraltro, a dire il vero, non è, ma è semmai il cuore vero del discorrere di Vinifera), se sia stata davvero un’occasione politica, alla qual domanda rispondo che, sì, è stata un’occasione politica, perché far incontrare vignaioli di montagna (e altri artigiani del cibo) con il pubblico – e con un pubblico come quello che ho detto – è un’azione che può far maturare le coscienze, e il far maturare le coscienze è a tutti gli effetti un’azione politica, seppure al di fuori dei canoni stereotipati della politica dei partiti e dei politici di professione che occupano le istituzioni e le pubbliche amministrazioni. Pertanto, Vinifera mi è piaciuta, e consiglio di tenere d’occhio l’azione dei ragazzi che l’organizzano, perché non si fermano e non si limitano all’evento allestito a Trento.

Peraltro, vorrei ribadire che nel quotidiano, nella vita di ogni giorno, si può fare politica anche con un bicchiere di vino. Così come si può fare politica scegliendo un olio, una farina, un legume, un formaggio, un salume. Pensando a chi li fa, a come li fa, a dove li fa. Insisto, si può agire singolarmente pensando collettivamente. Se l’obiezione fosse che si tratta solo di piccole gocce, ricordo che un insieme di piccole gocce, pur separate e distinte, è un acquazzone, un diluvio, un mare, un oceano.