Leggere (e bere) in Verticale

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D’accordo che non si deve generalizzare e che, per fortuna, negli ultimi anni le cose sono andate un po’ cambiando, ma che fatica che si fa tuttora, in Italia, a trovare cantine che abbiano a disposizione un ampio archivio di annate. L’idea che sia importante, e anzi che sia fondamentale disporre di una scorta di vini delle vendemmie andate, a tanti produttori sembra ancora una bizzarria, e spesso puoi imbatterti tutt’al più in qualche scatola dimenticata in un sottoscala o in un angolo del magazzino.

Ora, io spero che una rivista appena uscita con il suo ‘numero zero’ contribuisca a ‘fare mentalità’. La rivista si chiama Verticale e il mio sogno è che apra – finalmente! – le menti al mondo produttivo italiano, e anche a chi il vino lo beve, perché se cresce la domanda di annate d’antan può crescere l’offerta, ma se non c’è domanda, allora l’offerta è davvero difficile che ci sia. Il fatto è che l’Italia è ricca di storia, ma ne è smemorata. L’Italia del vino è anch’essa immemore. Un vizio nazionale.

I fondatori di Verticale sono Jacopo Cossater, Matteo Gallello e Nelson Pari. Tutti e tre piuttosto giovani, e Jacopo, in particolare, parla molto bene il linguaggio dei social, dell’internet, dei podcast, di tutte le innumerevoli – e a volte effimere – innovazioni del digitale. Eppure hanno fatto una rivista ‘di carta’.

Anch’io scrivo sul web, d’accordo, ma adoro la carta, e dunque una nuova rivista ‘di carta’ è una novità che, per me, riveste un grande significato, anche simbolico, al pari dell’aver deciso di mantenerla ‘indipendente’, così com’è ‘indipendente’ questo mio The Internet Gourmet. Nel senso che Verticale non ha una riga di pubblicità (neanch’io). Si sostiene con le vendite, con gli abbonamenti.

Insomma, Verticale propone un duplice, coincidente, ammirevole messaggio di resistenza, la carta e l’indipendenza. Il fatto poi che, visivamente e tattilmente, il periodico ricordi le fanzine della mia giovinezza, con le virgolette alte che smarginano a inizio di riga e le foto retinate, in bianco e nero, mi regala un senso di commozione (e sono, in genere, abbastanza refrattario a questo sentimento).

Il numero zero di Verticale contiene le degustazioni ‘verticali’, appunto, di sei vini italiani. La scelta dei tre fondatori è che gli assaggi narrati riguardino tutte (o quasi) le annate di vini ‘nati’ dal Duemila in poi. Li capisco. Ho detto che sono giovani, e il Duemila è già una data limite, per loro. Per me, molto volte, un vino del Duemila è ancora imberbe. Questioni anagrafiche, e poi è tutto relativo.

L’altra scelta che hanno fatto è quella della democraticità. Ogni ‘verticale’ ha per protagonisti tre assaggiatori, che dicono la loro liberamente, e il parere viene riportato così com’è, senza punteggi. Anche questa è una novità nel mondo molto spesso conflittuale, se non rissoso, di chi commenta il vino. Insomma, Verticale è una rivista ‘rilassata’. Ce n’è bisogno. Complimenti. E buon lavoro.