Sotto all’immagine inconfutabile di una pipa, il pittore belga René Magritte tracciò una didascalia che a molti risulta tuttora paradossale: “ceci n’est pas une pipe“, scrisse, questa non è una pipa. Peraltro, a innescare il cortocircuito comunicazionale non è il quadro in sé, bensì l’osservatore stesso, il quale trova illogico vedere una pipa e, insieme, un cartiglio nel quale si nega che lo sia, anche se quella che compare sul dipinto non è effettivamente una pipa, bensì la sua rappresentazione, e dunque la dicitura è del tutto corretta.
Pensavo alla pipa di Magritte quand’ho bevuto un vino che non è un Valpolicella, ma sembra proprio un Valpolicella, e anche di quelli parecchio buoni, e in effetti è fatto proprio in terra di Valpolicella con le uve del Valpolicella – ossia corvina, corvinone e rondinella -, ma non sta dentro la denominazione, la qual cosa può avere un effetto straniante.
Il vino si chiama Testa Calda, un nome che è tutto un programma, e viene imbottigliato con l’igt del Rosso Veronese perché Cristiano Saletti, che il Testa Calda e gli altri suoi vini li produce dalle vigne di Terra di Pietra a Marcellise, frazione del comune veronese di San Martino Buon Albergo, si è stufato da un po’ dei pregiudizi stilistici e delle obiezioni che venivano fatte ai suoi vini anche dalle commissioni di degustazione. “Ho lasciato la denominazione nel 2019 – mi racconta – semplicemente per il fatto che dopo le modifiche del disciplinare nel 2010, che hanno portato le ‘altre’ uve al 25%, mi trovavo spesso in difficoltà con la commissione e con i consumatori per il fatto che i miei vini sono molto scarichi di colore perché uso solo le uve tradizionali. Ho preferito uscire da una dinamica di Valpolicella colorati, strutturati, morbidi, per seguire una mia linea molto tradizionale”.
L’aggettivo “tradizionale” che Cristiano ha utilizzato due volte rende l’idea di questo vino, che a me è sembrato un Valpolicella che viene dal passato, dunque più giocato sulla speziatura che è tipica delle tre uve impiegate (un po’ più di chiodo di garofano per la corvina, un po’ più di pepe per il corvinone, un po’ più di cannella per la rondinella), che non sul frutto. Tant’è che quando bevo dei vecchi Valpolicella, per esempio degli anni Cinquanta o Sessanta, quelle stesse sensazioni le trovo sottolineate. E se, come ho sempre detto e come oggi dice più di qualcuno, la corvina ricorda un po’ il pinot nero, e dunque il Valpolicella, così come il Bardolino, può in qualche modo ricordare la Borgogna, be’, i vini come questo lo confermano, e lo fanno, ancora una volta, secondo canoni di tradizione.
Insomma, ceci n’est pas un Valpolicella, ma il Valpolicella d’antan lo ricorda parecchio, e mi piace.
Rosso Veronese Testa Calda 2020 Terre di Pietra
(91/100)