Il Castello di Grumello, simbolo della Valcalepio

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La balza su cui sorge il Castello di Grumello si stacca non di molto dalla piana, eppure è quel tanto che basta a giustificare la presenza turrita dell’antico incastellamento, perché da lì puoi spaziare con la vista senza ostacoli per chilometri e chilometri. Vi approdi in una manciata di minuti uscendo al casello di Grumello-Telgate sulla trafficatissima autostrada A4, che si snoda tra Milano e Venezia nel mezzo di una teoria quasi non interrotta di quei capannoni che hanno mutato irreversibilmente i connotati contadini della pianura. È felicemente straniante vedere che, alla prima rampetta del paese di Grumello del Monte, ti si fa incontro la vigna. Grazie al cielo, il Castello rimane impassibile avamposto della rete delle colline pedemontane delle Alpi Orobie, in quella Valcalepio viticola che si distende lungo la porzione orientale della provincia di Bergamo e a sud del lago d’Iseo, tra i fiumi Cherio e Oglio.

Della Valcalepio vitivinicola e della sua denominazione di origine, il Castello di Grumello è un interprete storico e oggi rilancia convintamente – vorrei dire orgogliosamente – il proprio ruolo, sorretto da un nuovo consistente progetto imprenditoriale. Infatti, nel 2022 la tenuta ha cambiato proprietà e oggi è guidata da Angelo Gotti, geniale fondatore della Kask di Chiuduno, leader internazionale nella realizzazione dei caschi per lo sci, per il ciclismo e per l’equitazione, e dal figlio Daniel. Fedeli ai trascorsi aziendali, hanno lasciato la produzione vinicola nelle mani di Paolo Zadra, figlio di quel Carlo Zadra che la seguì fin dagli anni Cinquanta. La direzione generale è invece stata affidata a Stefano Lorenzi, che conosco e apprezzo come esperto di alberi e di arboricoltura, e questo mi pare che la dica lunga su come l’orientamento si focalizzi sulle scelte agronomiche. Del resto, non si dice che il vino nasce in vigna?

Recandomi in visita al Castello di Grumello, il primo segno dell’attenzione agronomica l’ho notato appena di sotto dal cortile d’ingresso e dai suoi giganteschi ippocastani. A margine di quella via Fosse che anticamente doveva segnare il fossato dal fortilizio, è nata una nursery delle barbatelle di vigna, destinate a sostituire i ceppi che man mano deperiscono. Insomma, le vigne giovinette si abituano ai suoli e al clima del luogo, aspettando il loro turno per giocare da protagoniste. “In questo modo – mi dice Lorenzi – si troveranno a loro agio accanto alle competitrici che magari hanno vent’anni”. Questo è pensare al futuro con concretezza. “L’obiettivo di Paolo Zadra e mio – aggiunge Stefano – è quello di arrivare ad attuare un concetto di sostenibilità molto ampio, che ricomprenda ad esempio il recupero delle acque, la maggior interazione possibile della vigna con l’altra vegetazione, il ripristino dei boschi, valorizzando e selezionando le essenze del sottobosco, la gestione del seminativo”. Perché della trentina di ettari della tenuta, solo quindici sono vitati, e gli alberi da frutta – al momento già una sessantina – stanno entrando tra le vigne. Insomma, dico io, quel che ormai si teorizza in varie parti del mondo viticolo, al Castello di Grumello lo si sta mettendo in pratica.

Un progetto particolare è poi quello che riguarda i ceppi di cabernet più vecchi. Perché là il cabernet sauvignon non è arrivato, come da altre parti, sull’onda delle spinte mercantili degli anni Novanta, ma ha un’origine più remota. E qui devo fare un breve excursus. Costruito in epoca altomedievale, a partire dal Settecento il Castello di Grumello fu trasformato in un’austera residenza patrizia che man mano ebbe come proprietari i conti Suardo, i marchesi del Carretto e i principi Gonzaga di Vescovado. Fu proprio quest’ultima famiglia a importare dalla Francia, nella seconda metà dell’Ottocento, alcune barbatelle di un vitigno nuovo, che i contadini bergamaschi chiamarono burdunì. Si trattava in realtà del cabernet sauvignon, che dunque ha acquistato una lunga consuetudine con il territorio. “I ceppi più vecchi dei cloni rimasti nella tenuta – dice Lorenzi – vogliamo provare a recuperarli perché sono le vigne di cabernet più antiche della Valcalepio”.

Ciò detto, ora tocca ai vini che ho assaggiato, a cominciare dal rosso a base di merera, una varietà locale presente, ad ora, in un solo ettaro, ma in fase di riproduzione per raddoppiare il vigneto. Comincio da lì perché penso che si tratti di una varietà talmente antica da essere improvvisamente diventata modernissima. Infatti, di questi tempi nei quali il cambiamento climatico spinge in alto le gradazioni alcoliche dei rossi, la merera riesce ancora a dare vini di alcolicità accettabile e di bevibilità rustica, ma piacevolissima. Carlo Zadra ne rinvenne alcuni ceppi e, saggiamente, li volle riprodurre, piantandoli all’interno delle mura del Castello. Io dico: evviva!

Bergamasca Rosso Merera 2021 Castello di Grumello. Rubino chiassosamente brillante, ha un’indole floreale di violetta e ciclamino. Dal lato del frutto, ecco la mora e il prugnolo selvatico. Il sorso persiste. (89/100)

Bergamasca Rosso il Brolo dei Guelfi 2020 Castello di Grumello. Era la vecchia etichetta del Merera. Sa di affumicato e ha il tannino ruspante. A tratti sembra tagliente, la bevuta è pepata. Sorprende. (88/100)

Valcalepio Rosso VR18 2018 Castello di Grumello. Iper affumicato, sa di speck, di ginepro. L’acidità graffia, il tannino gratta, il sale raffresca e ingolosisce, la prugna e la mora saziano, il fiore ingentilisce. Rusticamente buonissimo, fa quattordici gradi di alcol e non te ne accorgi. Vino del tutto prealpino. Viene 13 euro in cantina, da comprare a occhi chiusi. Merlot e cabernet. (91/100)

Valcalepio Rosso Colle Calvario 2017 Castello di Grumello. Il Colle Calvario è il cru dell’azienda. Ovviamente, è un taglio bordolese, le vigne di cabernet sono quarantenni. Il vino che se ne trae sfoggia un elegantissimo bouquet floreale, e poi torba, terra nera, tracce di fumo, sale e anche vene officinali di erbe alpestri. Il tannino è austero. (92/100)

Bergamasca Rosso Burdunì 2018 Castello di Grumello. Terzo taglio bordolese, stavolta sotto l’igt. Qui è chiarissimo che l’affumicatura costituisce l’imprinting della Valcalepio. Non ho dubbi in proposito. La carne secca si fonde con le vene balsamiche del ginepro. In bottiglia da poco, è un vino dal lungo avvenire. (93/100)

Vino Bianco Le Noci 2021 Castello di Grumello. Ora il bianco dalle vigne resistenti, le piwi, il bronner e lo johanniter. Al Castello ci credono, a queste nuove varietà. Le Noci è il podere dove sono piantate. Il vino propone da subito un ricordo dell’affumicatura del pane appena uscito, caldo, dal forno a legna. Vi si sommano tracce di mallo di noce e di fieno secco in un quadro insuale e fascinoso. Somiglia ai rossi. Il territorio prevale. (89/100)