Adesso il Bardolino può stare in verticale

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Il 23 di marzo di questo 2016 resterà, nella piccola storia del vino della mia terra e delle mie acque gardesane, una data che potrei definire memorabile. L’ammetto, sono in conflitto d’interesse a dire del Bardolino, giacché me ne occupo professionalmente, anche. Ammetto pure che sono autoreferenziale. Però non posso astenermi, e dunque lasciatemi per una volta trasgredire, ve ne domando preventiva scusa.
Il fatto è che a Pollenzo, alla Banca del Vino, il 23 di marzo scorso c’è stata una degustazione. La guidava Fabio Giavedoni, che è curatore di Slow Wine. Di scena il Bardolino, appunto, di due produttrici, Matilde Poggi de Le Fraghe e Giovanna Tantini. Epperò era una degustazione in doppia verticale. Quattro annate di ciascuno dei rispettivi Bardolino, dal 2014 al 2011. Finalmente. La prima volta.
La prima volta, intendo, che fuori da quel che predico e dalle cose che organizzo di mio, si presenta il Bardolino per quel che sa essere, quand’è fedele alla propria identità: un vino sì leggero nei colori e nell’alcol e nei tannini e nella struttura, ma anche capace di tenere il tempo e di trarne ricchezza espressiva. I cinque, gli otto anni sono nella portata di quest’interpretazione più fresca della corvina veronese (più fresca, intendo, di quanto avvenga nella Valpolicella), ed anzi al frutto man mano s’aggiunge la spezia, ed è soprattutto il pepe nero a sud, la cannella presso le rive del Garda, il chiodo di garofano nell’entroterra che guarda verso il monte Baldo. Tutto questo s’è perso e si perde se il Bardolino lo si beve solo in giovinezza. Grazie al cielo si incomincia a parlarne. Dal 23 di marzo anche fuori dalla mia terra e dalle mie acque. Mi piace. Ovviamente mi piace.
Finisco dicendo che la foto è di Maya Wakita, studentessa dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, che ringrazio per la cortesia.
photo #mayawakita