Rivendico il diritto alla croccantezza

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Mi piace mangiare la frutta quando non è ancora perfettamente matura. Giusto quell’attimo prima. Voglio insomma che le mele, le pesche, le ciliegie, le prugne schiocchino sotto i denti, e solo a un di presso m’invadano il palato con i loro succhi, e che quei succhi siano ancora lievemente aciduli. Adoro poi i vini che sappiano evocarmi questa stessa sequenza di sensazioni. Chiamo quei vini croccanti. Da sempre. La prima cosa che ho scritto sul vino è del 1984, un po’ di tempo fa. La croccantezza la cerco da allora, e mi piace metterla in luce.
Ora c’è però una marea montante di censori critici verso l’utilizzo dell’aggettivo croccante quando s’ha a che fare col vino. Sembra questa l’ultima moda, contestare il croccante dicendo che è aggettivo da applicarsi a cose solide e non liquide.
Capisco che del termine se ne stai abusando, ma chi l’adopera per moda passeggera a breve smetterà, cercando altre aggettivazioni più in voga. Però io rivendico il diritto al piacere della croccantezza del vino.
Semplicemente, trovo quell’aggettivo perfetto quand’ho a che fare con la sensazione che ho detto, dentro a un vino.
Mi piace poi definire succoso un vino che mi evochi il succo sprigionato dai frutti.
Mi piace definire marino un vino che mi rammenti il salmastro.
Mi piace definire iodato un vino che mi porti alla mente il vento di mare.
Mi piace definire affilato un vino che mi ricordi il filo sottile della spada.
Mi piace definire nervoso un vino che mi si evolva in rapidissima sequenza.
Mi piace definire terroso un vino che mi racconti l’odore dei campi bagnati di rugiada.
Mi piace definire terragno un vino che mi si mostri ancorato alla propria terra.
Mi piace definire roccioso un vino che mi trasmetta un’idea di solidità estrema.
Mi piace definire sulfureo un vino che mi folgori con l’aria del vulcano.
Mi piace parlare dei miei vini usando un che d’immaginazione.
Anche qui sta il piacere del vino, io credo.