Perché sono scettico riguardo alle uga (e alle mga)

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Noi italiani le cose lineari non riusciamo a farle, quando si tratti di definire i nostri prodotti agricoli di eccellenza. Per esempio, siamo quelli che per dire che un olio è fatto con le olive obbligano a scrivere in etichetta questa interminabile tiritera: “Olio extra vergine di oliva. Olio di oliva di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici” (ci va tutta, non basta “olio extravergine di oliva”) e poi, siccome si tratta di una definizione impresentabile, ci inventiamo una sigla assurda come “evo”. Salvo poi permettere che si chiami “olio di oliva” una miscela di oli raffinati chimicamente e di (poco) olio vergine. Non sarebbe più semplice chiamare olio di oliva un olio fatto con le olive e obbligare invece a essere più chiari in etichetta gli industriali degli altri oli? No, evidentemente non si può, troppi interessi in gioco.

Ho poi un mio personale scetticismo su quelle classificazioni che stanno prendendo piede nel mondo del vino sotto il nome di “unità geografiche aggiuntive”, che vengono spesso citate col bruttissimo acronimo di “uga”, le quali a loro volta hanno preso il posto delle “menzioni geografiche aggiuntive”, che si semplificavano in “mga”. A parte la questione nominale (un pistolotto come “unità geografica aggiuntiva” è impresentabile sui mercati internazionali ed è incomprensibile a una persona qualunque), non mi piacciono molto perché rischiano di essere solo – non dico che lo siano – le ennesime linee tirate su una carta geografica, magari a pioggia per non scontentare nessuno.

Il problema delle uga è che non hanno uno specifico disciplinare. Se ne citano i nomi nel disciplinare, se ne tracciano i confini geografici, ma tra un vino fatto in una uga e un vino fatto fuori dall’uga non c’è nessuna regolamentazione diversa, se non, appunto, i semplici limiti territoriali. Diverso è il discorso delle sottozone, che preferisco di gran lunga alle uga perché hanno un loro specifico disciplinare, il quale è allegato al disciplinare complessivo della denominazione di origine. Insomma, la sottozona ha regole più stringenti e rese più basse rispetto alla denominazione di origine nel suo complesso, l’unità geografica aggiuntiva no.

A mio avviso, se davvero volessimo costruire una “piramide qualitativa” all’interno di una denominazione di origine, dovremmo prima individuare le sottozone, coi loro specifici disciplinari, e poi magari, all’interno di ciascuna sottozona, indicare le più parcellizzate unità geografiche aggiuntive. In questo modo, le uga diventerebbero specificità di altre specificità. Così come il Francia i lieu dit e i climat sono specificità dei cru, i quali a loro volta sono specificità di zone vinicole maggiori.

Lasciando per un attimo da parte Bordeaux e la Borgogna, le cui classificazioni sono state, nei fatti, definite dai commercianti di uva e di vino attraverso i secoli, mi piace citare la ripartizione del Beaujolais. C’è la denominazione del Beaujolais, molto ampia. Poi, nei tratti collinari, c’è il Beaujolais Villages. Poi ci sono i dieci (e a breve forse undici) cru che comprendono uno o più comuni: sono Brouilly, Chénas, Chiroubles, Côte de Brouilly, Fleurie, Juliénas, Morgon, Moulin-à-Vent, Régnié, Saint-Amour e probabilmente a breve Lantignié. All’interno dei dieci cru, ci sono alcuni climat e alcuni lieu dit, come Corcelette e Côte du Py a Morgon, e all’interno di questi ci sono delle parcelle ancora minori, come Javernières per Côte du Py. Sono di cui di un di cui di un di cui di un’area protetta. La piramide c’è, è evidente, è tangibile.

Se proprio vogliamo guardare a Bordeaux e alla Borgogna, all’appellation “base” (quella che viene chiamata “appellation regionale”, che interessa un’intera “regione” vinicola) si aggiungono quelle più ristrette, comunali o di specifiche aree, ma in etichetta molti che utilizzano la denominazione specifica lasciano comunque un riferimento al territorio più ampio. Per esempio, su un Volnay è possibile leggere la dicitura “gran vin de Bourgogne” e sull’etichetta di un Pauillac può essere scritto “grand vin de Bordeaux”. All’interno dell’appellation specifica, poi, ci sono i grand cru, i premier cru e gli altri successivi cru, i cru bourgeois. Insomma, ci sono i di cui di un di cui di una regione vinicola.

Funziona. Ma noi siamo quelli dell’olio d’oliva e dell’evo.