Nell’ultimo mese ho letto di parecchi ristoratori che si lamentano per il fatto che, con l’inasprimento delle sanzioni relative alla guida in stato di ebbrezza, molta gente, spaventata, non va più a cena fuori, non potendo più bere vino. È vero, in alcuni ristoranti ormai non si può più bere vino, ma il rischio del ritiro della patente non c’entra. C’entrano i prezzi di vendita del vino, che spesso sono troppo alti, così alti da risultare inaccettabili. Ormai, in troppi locali di “fine dining”, come si usa dire oggi, due menu degustazione e una bottiglia di vino di medio livello portano il conto al di sopra dei trecento euro, più presumibilmente intorno a quattrocento. Il problema non è la patente, è il portafogli.
Cito un caso recente. Un mio conoscente, persona del tutto affidabile, ha pubblicato sul proprio profilo Facebook un post nel quale diceva di essersi trovato bene, a inizio d’anno, mangiando in un ristorante assai meritevole. Incuriosito e tentato, sono andato a vedere il sito internet del locale per verificare, come faccio sempre, il menu e la carta dei vini. L’elenco dei piatti mi ha stuzzicato e i due menu degustazione disponibili avevano prezzi coerenti con la media attuale dei ristoranti del medesimo livello. Anche la lista dei vini era bene assortita, ma i prezzi mi hanno raggelato. Tutti molto alti, troppo alti. Per dire, mediamente una bottiglia di spumante viene quasi quanto un intero pasto per una persona. A queste condizioni resto a casa mia, e infatti ho deciso di non andare.
I ricarichi sono troppo alti. Inammissibili. E non fanno vendere il vino, o tutt’al più ne fanno vendere pochissime bottiglie, oppure scoraggiano ad andare a cena fuori. Avere una gamma di prezzi più ampia, contraddistinta da ricarichi più modesti, fa vendere più vino e aumenta, tramite i volumi, la marginalità per il ristoratore, proprio grazie ai ricarichi bassi. A chi non si fidasse delle mie parole, credo possano essere utili quelle di un grande personaggio del vino internazionale, Christian Moueix, proprietario ed enologo di molte prestigiose cantine a Bordeaux e in Napa Valley. In un’intervista comparsa in novembre su Wine Spectator ha detto così: “Di recente sono stato in Belgio. Sono andato in un ristorante che moltiplica i prezzi del vino per due. Il ristorante era pieno, e c’erano una o due bottiglie di vino su ciascun tavolo. Quando i ristoranti moltiplicano i prezzi per cinque, non mi aspetto che vendano così tanto vino. Tutti, nella filiera, dovremmo ridurre i margini. È essenziale“.
Oltretutto, in giro di vini buoni a prezzi non eccessivi ce ne sono parecchi. Solo che sono poco noti e bisogna andare a cercarseli, il che, peraltro, non mi pare una così gran fatica, stanti tutte le fiere che esistono. Certamente, però, non è pensabile proporre carte che elencano vini che costano pressoché tutti ben più di cinquanta euro (nel caso specifico del ristorante nel quale ho rinunciato ad andare, quelli intorno alla cinquantina di euro si contavano sulle dita di una mano). Anche perché sarà pur vero che il ristorante ci mette l’uso dei calici e il servizio, ma la bottiglia resta sempre la stessa che in enoteca pago molto, molto di meno.
Indubbiamente, negli ultimi quarant’anni la ristorazione ha giocato un ruolo molto importante per far conoscere i vini di qualità. Ora è come se l’innamoramento fosse finito, e il vino al ristorante rischia di diventare un ostacolo. Io credo dunque che la ristorazione dovrebbe ripensare completamente la propria proposta di vini, stuzzicando la curiosità degli utenti, abbattendo i ricarichi e contenendo il costo medio delle bottiglie attraverso una selezione più mirata e prudente. Altrimenti bere vino al ristorante diventa un lusso inaffrontabile per la maggior parte dei possibili utenti, i quali faranno come me: resteranno a casa, soprattutto adesso che le nuove sanzioni introdotte dal codice della strada possono effettivamente fare da ulteriore deterrente. Ma non a caso ho scritto “ulteriore”. Il primo deterrente è il prezzo, ed è ben maggiore del rischio patente.