Viene prima l’eleganza

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“Ogni giorno a Riccardo dico: eleganza, eleganza, eleganza, eleganza. Oggi per me viene prima l’eleganza”. A parlare così è uno degli enologi più noti d’Italia, Carlo Ferrini. Riccardo, che di cognome fa Ferrari, è il compagno della figlia di Ferrini, Bianca. Lui si occupa di vigna e di cantina, mentre lei, alle spalle un passato da pallanuotista a livello agonistico e un curriculum di studi in economia e in agraria e poi di formazione professionale negli Stati Uniti e in Italia, fa tutt’uno col padre nella gestione dell’azienda di famiglia, che si chiama Giodo e ha vigne in Toscana, nella terra del Brunello di Montalcino, tra Sant’Angelo in Colle e Sant’Antimo.

Giodo è un omaggio ai genitori di Ferrini, Giovanna e Donatello, e la terra l’ha presa perché “è da quarant’anni che faccio vini per gli altri, poi si arriva a una certa età e si comincia a pensare di fare il proprio vino”. Ovvio che quel vino doveva essere fatto col sangiovese, stante che lui al sangiovese ha dato tanto, e tanto ne ha anche ricevuto. “Per me il sangiovese rappresenta la vita”, dice. Solo che la campagna la cercava, ma non si trovava. “Però a un certo punto vedo un pezzo di terra che è il più bello che abbia mai visto, in mezzo ai boschi, con un casolare abbandonato, e il cuore si mette a battere”.

Su quel pezzetto di terra Ferrini ci ha messo a dimora i cloni di sangiovese che più lo avevano convinto negli anni. Sono otto, producono poco, hanno una scarsa vigoria e fanno grappoli spargoli dagli acini piccoli. Carlo e Bianca il loro sangiovese l’hanno voluto rappresentare anche in etichetta, nelle vesti di un omino abbozzato, stilizzato, graffiato, che sorregge un cerchio, e il cerchio rappresenta il mondo del Brunello.

La prima annata di produzione è stata la 2009. Quell’anno la cantina per farci il vino non c’era ancora. Si vinificava in una delle aziende per le quali Ferrini faceva consulenza. Poi, dal 2020, è arrivata anche la cantina, costruita negli intervalli delle restrizioni per la pandemia di covid-19. “La mia grande fortuna – dice – è di aver avuto accanto a me Bianca. La seconda grande fortuna è di aver trovato Riccardo, che è arrivato grazie alla prima fortuna”.

Del Brunello di Montalcino di Giodo ho potuto assaggiare tre annate, la 2015, la 2016 e la discussa 2018. Dico “discussa” perché quando c’è stata l’anteprima, cui non ho partecipato, su quest’annata se ne son dette di tutti i colori, e soprattutto se n’è assai stigmatizzata la lontananza dai fasti della 2015 e della 2016. Però io credo che sia proprio nelle annate difficili che emergono i produttori migliori e le vigne più vocate, mentre da quelle perfette ci tiro fuori qualcosa di decente anch’io. Lo scrive anche Olivier Pussier sul numero di giugno della Revue du Vin de France riguardo alla 2021 nel Beaujolais: “È nei millesimi complicati che si riconoscono i grandi vigneron. Si sanno adattare, si prendono i loro rischi, accettano di perdere una parte della vendemmia facendo una selezione drastica. In breve, non si accontentano di produrre secondo lo schema degli anni precedenti”. Meglio di così non l’avrei saputo dire. Se poi ci si mette che, nel caso specifico di cui sto narrando, il vigneron in questione è uno che si chiama Carlo Ferrini, il gioco è fatto. Pertanto, il Brunello del 2018 me lo sono voluto ascoltare un bel po’, per cercar di capire che cosa volesse raccontare, accanto, com’era, ai fratelli maggiori. Be’, secondo me il suo racconto ha meritato la giusta attenzione, anche a confronto con le storie narrate dagli altri due. E poi, diciamocelo, che meraviglia poter “sentire” l’annata!

Brunello di Montalcino 2015 Giodo. La grazia, il frutto. (94/100)

Brunello di Montalcino 2016 Giodo. La complessità, l’energia. (95/100)

Brunello di Montalcino 2018 Giodo. La classicità, la finezza. (93/100)

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