Per fortuna il rosé non è già più di moda

calice_rosa_chiaretto_7_500

La mia impressione è che, dopo anni di espansione, la bolla modaiola del rosé si stia sgonfiando. È vero che, complice la turbolenza del contesto economico e finanziario, tutte le tipologie di vini hanno il fiato corto, però sulla stampa, sul web e sui social mi pare di notare un calo di interesse nei confronti dei vini rosa. Tant’è che qualche giorno fa la giornalista americana Lettie Teague si è chiesta sul Wall Street Journal se non si stia registrando un certo malessere nei confronti del rosé. Infatti, per la prima volta in America calano le vendite in rosa, e ricordo che gli Stati Uniti sono stati il motore trainante dell’ascesa internazionale del rosé, a partire da quello provenzale. Ebbene, sono contento che stia succedendo, perché sarebbe ora che i vini rosa si producessero e si bevessero non già per una questione di moda, ma per una scelta consapevole.

Vediamo l’Italia. Da noi, così come a dire il vero anche in Spagna, in Germania, negli Usa, perfino nella stessa Francia e anche in molte altre parti del mondo, in quest’ultima manciata d’anni tutti si sono messi a fare rosé. Non importava che si disponesse di una tradizione, che si avessero a disposizione le uve adatte, che in azienda o sul territorio esistesse una cultura agronomica ed enologica coerente: siccome il rosa “tirava”, via a fare vini rosa, con qualunque vitigno, in qualunque contesto. Scommetto che fino a quel momento, parecchi di questi neofiti del fare vino in rosa, i rosati non li bevevano neppure, e forse non li hanno bevuti neanche dopo.

Ne sono usciti ovunque vini pressoché pallidissimi fatti con lo stampino, e certi produttori affermavano, come fosse un vanto, di imitare il modello provenzale, perché con quello si vendeva. Ma nella stragrande maggioranza dei casi l’imitazione si limitava al colore, perché, salvo che per pochissime zone d’Italia e d’Europa storicamente vocate al rosa chiaro e poche altre indovinate eccezioni, mancavano del tutto le condizioni culturali (la testa) e colturali (le uve) per produrre dei rosé territoriali. Il risultato è stato un profluvio di vini anemici improvvisati e privi di identità, connotati talvolta da raggelanti tannini immaturi, perché se non hai le uve giuste e il giusto sapere, ricorri alla vendemmia anticipata e pressi poco, pensando che basti il colore, e se il vino diventava amaro per la scarsa maturità dell’uva, la soluzione era farli dolciastri. Ebbene, il colore non basta più, neppure in Francia, nemmeno in Provenza. Anzi, come riferisce Idelette Fritsch sulla Revue du Vin de France di giugno, con il cambiamento climatico che ha fatto abbassare i livelli di acidità delle uve, nella stessa Provenza i vini sono diventati troppo chiari, quasi grigio-gialli, e questo “porrà problemi in alcuni mercati”, perché il consumatore fatica a riconoscerli come rosé. Tant’è che, nello stesso articolo, il direttore del Centre du Rosé di Vidauban, Gilles Masson, è quasi costretto a ricordare che il rosé “deve essere un po’ rosa, altrimenti non è più rosato“.

Insomma, sembra quasi che siamo all’inizio di una crisi di rigetto, e io che sono sempre stato un sostenitore dei vini rosa della grande tradizione europea, non riesco a esserne rattristato. Perché se il rosé si mette a “tirare” di meno, il vino rosa dei parvenue sarà spazzato via dal mercato, rifiutato dai bevitori e non più prodotto da chi ha cercato solo il guadagno immediato. Si farà pulizia. Il rischio è che al vino rosa succeda quel che abbiamo già visto accadere qualche decennio fa al novello. Dopo un boom vertiginoso, sul quale si sono buttati tutti con delle pessime fotocopie dei vini nouveau più seri, la bolla è esplosa e il vino nuovo è quasi scomparso. Con il rosato, grazie al cielo, non succederà. Ci sono, nei territori che hanno fatto la storia del vino rosa e in quelli che si sono scoperti fondatamente rosatisti in tempi più recenti, condizioni idonee e saperi consolidati, e lì il rosé resisterà. Tolte di mezzo le cattive imitazioni, il grande vino rosa potrà finalmente affermarsi. Ne ho piena fiducia.