Un Sauvignon isontino figlio dell’attesa

mysa_500

Quando parlo di vino, cito spesso la pazienza. Con il vino ci vuole pazienza, bisogna attenderlo, bisogna dargli modo di esprimersi. Per questo mi piace bere i vini affinati. Solo che quasi sempre me li devo affinare da me, acquistandoli e poi conservandoli nella mia cantinetta (la cosa, a dire il vero, non mi disturba, peraltro). È più raro che, soprattutto in Italia, l’affinamento venga eseguito direttamente dal produttore, salvo i casi imposti dai disciplinari (ma anche in quei casi, spesso occorre comunque un’ulteriore attesa a casa propria, se si hanno spazi adeguati). Invece, di recente ho incontrato un avvocato-vignaiolo al quale dal lato della pazienza non si può imputare assolutamente nulla, perché i vini ha deciso di farli uscire sul mercato quando li ritiene pronti, e dunque, per esempio, adesso vende un Sauvignon 2016 della doc Friuli Isonzo.

L’avvocato-vigneron si chiama Enrico Agostinis e la sua azienda agricola ha il nome di Dai Morars. I “morari”, nella lingua triveneta, sono i gelsi, che un tempo nelle campagne si coltivavano per trarne le foglie necessarie al nutrimento dei bachi da seta, complemento necessario ai redditi fondiari. In etichetta, il gelso è rievocato da un raffinato disegno al tratto, cui si sovrappone graficamente una A maiuscola che rievoca la dicitura Amandum, che dà nome alla linea di vini. Di vini Enrico e Carlo Alberto Agostinis ne producono una decina, ottenuti dalle uve delle vigne di famiglia, rilevate nel 2013, e da nuovi impianti, tutti provenienti da quello che definiscono il “luogo d’incontro delle valli dell’Isonzo e del Vipacco”. L’autoctono è il Friulano, poi ci sono gli internazionali, acclimatatisi ovunque in zona.

Di quei vini ne ho potuti assaggiare alcuni, e spero di avere presto modo di riprovarne, con maggiore calma. La mia impressione è che tutti esprimano bene i due fattori che ne connotano la produzione, ossia il paziente affinamento pluriennale e la ricerca di un approccio elegante al territorio. In particolare, mi soffermo sul Mysa, il Sauvignon che viene da vigne impiantate in pianura, sulle ghiaie e sui ciottoli e sull’argilla rossastra. A fine fermentazione, viene travasato in vasche di acciaio inox e sta lì a maturare sur lies per una decina di mesi. Poi passa in bottiglia, e la sosta si prolunga ancora. Benedetto temporeggiare, questo che ci consegna un Sauvignon vibrante di freschezza e nel contempo ritmato sulle cadenze della pesca nettarina e delle erbe aromatiche (un che di mentuccia, di salvia, perfino il piccantino dello zenzero) e dei fiori bianchi (il sambuco, soprattutto). Ha, questo bianco isontino, una carattere fermo e un’espressione varietale che sembra rimandare alla Loira, ma è invece intimamente territoriale, con quell’incedere che definirei anch’esso ciottoloso, come la sua terra, in virtù di una vena salina che porta a rievocare tattilmente quella controversa espressione della mineralità, che mi è cara.

Friuli Isonzo Sauvignon Mysa 2016 Dai Morars
(90/100)

In questo articolo