Il Superiore e le ipotesi sul futuro della Valpolicella

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In Valpolicella da un po’ di tempo si discute del Superiore. C’è infatti chi ritiene che questa sia la tipologia su cui occorra investire, soprattutto in una chiave di territorialità. Magari per arrivare a creare delle espressioni di vallata. Personalmente nutro una certa idiosincrasia per la menzione Superiore riferita ai vini fermi. Se c’è un “superiore” vuol dire che esiste anche un “inferiore”, il che non è carino dirlo, e spesso è ingiusto rispetto agli altri vini che condividano la menzione geografica. Un Superiore che aggiungesse anche delle menzioni geografiche potrebbe schiacciare ulteriormente verso il basso il Valpolicella più fresco. È un rischio da considerare, o forse non lo si reputa tale. Ma questa è solo un’idea mia, per cui se i produttori valpolicellesi ritengono che il futuro stia nel Superiore, non ho alcunché da eccepire. Semmai, osservo in quali direzioni ci si muova.

Mi pare innegabile che il Valpolicella Superiore abbia imboccato tre diverse prospettive. La prima è quella che continua a guardare alla concentrazione, sull’onda del Ripasso e dell’Amarone. Non è un’ipotesi progettuale che susciti il mio interesse. La seconda è quella, antitetica, che mira invece a una sorta di leggerezza declinata alla valpolicellese, con colori meno densi, alcol meno presente, freschezza sottolineata, ma comunque un certo rigore tannico. In questa casistica, ho trovato delle bottiglie molto interessanti. La terza è una via mediana tra le due. Ha sì potenza e struttura, ma rinuncia alla residua morbidezza, preferendole una spiccata austerità.

Credo di poter affermare che una delle versioni più rappresentative di questa terza interpretazione del Valpolicella Superiore sia quella offerta dalla Tenuta Santa Maria di Gaetano Bertani. Ho avuto occasione di assaggiarne l’annata 2019 in una circostanza abbastanza fortuita. Ero stato invitato alla presentazione dell’ultimo libro della scrittrice spagnola Clara Sánchez, con l’autrice in sala. L’avvenimento si svolgeva nello splendido saloncino d’ingresso della settecentesca Villa Mosconi Bertani, in località Novare, a Negrar, sede anche della cantina. A fine incontro era previsto un rinfresco, in mescita c’era il Valpolicella Classico Superiore. Andavo piuttosto di fretta e ne ho assaggiato appena un sorso. Ma il vino mi ha colpito e sono tornato sui miei passi per riprovarlo con maggiore attenzione. Ho fatto bene. Il vino merita.

La corvina veronese, che è prevalente nell’uvaggio (mi pare intorno al settanta per cento) emerge netta con i suoi sentori classicisti di ciliegia, il corvinone aggiunge un che di pepatura (il saldo è rondinella e oseleta). Affiorano memorie di erbe alpestri e un accenno fumé che nobilita il sorso e sottolinea l’indole austera del vino, accentuata, poi, dal tannino severo, gessoso, ma avvolgente, capace di sorregge a lungo e con fermezza i frutti e le spezie. L’alcol tocca i quattordici gradi, eppure l’acidità lo bilancia, lo tiene in equilibrio. Il finale è asciutto, e invita al nuovo sorso.

Valpolicella Classico Superiore 2019 Tenuta Santa Maria
(90/100)

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