Sia stramaledetto il prodotto di nicchia

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La nicchia: oh, che palle ‘sta nicchia. Non se ne può più: prodotto di nicchia di qui, prodotto di nicchia di là. “Sia stramaledetta ‘sta nicchia e chi l’ha inventata» ha detto chiar’e tondo Carlin Petrini, padre dello Slow Food. Permettetemi: lo ripeto anch’io e lo sottolineo pure: finiamola, please, con la nicchia.
M’era capitato di dirlo e ridirlo in un intervento ch’ebbi a fare nel convegno che l’Uncem – leggasi l’associazione che riunisce i comuni e le comunità montane d’Italia – ha tenuto a Caprino Veronese. Tema: i prodotti tipici della montagna. Ebbé: s’è parlato di nicchia, di nicchia, di nicchia, dal primo all’ultimo uomo delle istituzioni. Ed io che dovevo esser l’ultimo a parlare, ed era oramai ora fatta di pranzo, e bollivo, non ci ho visto più: “Piantatela di piangervi addosso”, li ho invitati. E ho avuto, in risposta, volti perplessi. Come stessi intaccando un mito. O forse un rito.
Perché ce l’ho col prodotto di nicchia? Perché per me non esiste. Non deve esistere, aggiungo. Un prodotto è un prodotto: punto e basta. E come tale deve stare al mondo. Con dignità, rispetto, orgoglio. La nicchia è un’altra cosa: lasciamola alle chiese, ai cimiteri (c’è un che di funereo – s’ammetta – dietro il nome, un che di buio, di chiuso).
Mi spiego. Parlar di prodotto di nicchia è inutile e dannoso per due ragioni almeno.
La prima è che ha a che fare con la marginalità, con l’esser minoranza e crogiolarcisi pure. L’ho detto ai politici a Caprino: se in campagna elettorale andaste in giro a raccontar che la vostra è candidatura di nicchia, non avreste il sospetto che gli elettori v’accontenterebbero e vi lascerebbero a far minoranza, preferendo votare un altro che ha invece orgoglio d’uomo di maggioranza?
Secondo: la nicchia è un paravento comodo, comodissimo. Per giustificare il sapore cattivo, il difetto, l’improvvisazione. Un’arma letale nelle mani di chi non fa qualità e non gli passa neanche per la capa d’impegnarsi a far di meglio. Facile dire: “Ma il mio è un prodotto di nicchia”. Legittimando il vino che puzza, il formaggio mal fermentato, la confettura acidula, il salume mezz’irrancidito. E nossiggnori: il prodotto ha da esser buono. Sennò, se lo tengano, se lo mangino (bevano) loro. E ci s’ingozzino pure.
Semmai c’è un problema diverso. Il prodotto, ho detto, è prodotto, e risponde alle leggi dell’economia, del mercato. Semmai, ecco, c’è bisogno di farlo conoscere. E se davvero ha un surplus di qualità, la s’ha da far percepire all’utente. Dunque: marketing, promozione. Che passi attraverso la percezione della qualità. Ergo, politici miei, abbiate un gesto d’orgoglio, e cominciate a promuovere chi lo merita davvero: l’ecumenismo aiuta a prender voti, ma non a fare mercato. Promuovere tutti in nome dell’egualitarismo è pratica iniqua e dannosa e ingiusta. Significa mettere allo stesso piano chi s’impegna e chi no. Significa prender’in giro il mercato. Che s’incavola e ti sbatte in faccia la tua supponenza egualitaria.

articolo originariamento pubblicato il 25 febbraio 2006