Non posso che essere d’accordo con la decisione del Gambero Rosso di premiare come miglior vino rosato italiano dell’anno il Cerasuolo d’Abruzzo Baldovino della Tenuta I Fauri. Non concordo solo sulla terminologia. È storia vecchia e controversa, ma la ripeto, ad abundantiam. Il Cerasuolo è un vino rosa, non un rosato. Il mondo rosa tiene dentro il Cerasuolo, il Chiaretto e il Rosato, che rispondono a storie, territori e culture diverse. Usare la menzione Rosato per un Cerasuolo o per un Chiaretto è fare torto ai Rosati, prima che al Cerasuolo o al Chiaretto, perché si nega la specificità del Rosato, che appartiene e precisi territori. Io la penso così. A ogni modo, evviva il premio al Baldovino, che da anni rappresenta, per me, una delle migliori espressioni del mondo rosatista italiano, nonché il punto di riferimento della sua denominazione di origine, per la fedeltà all’imprinting locale a partire già dal dettaglio del colore, che è davvero quello delle ciliegie, come dovrebbe sempre essere per il Cerasuolo, e soprattutto gli è fedele nel gusto, poiché sa delle terre abruzzesi sospese fra mare e montagne.
Ora, però, Luigi e Valentina Di Camillo hanno deciso di cimentarsi nell’impresa quasi impossibile di superare se stessi, uscendo con un nuovo vino rosa della Tenuta I Fauri, e stavolta si tratta di un vero e proprio cru di Cerasuolo d’Abruzzo. Proviene, infatti, dalle uve di una specifica porzione di vigna, quella della Particella 178 del Foglio 18 nel comune di Francavilla al Mare. “Sabbia, mare e una storia che ci appartiene”, così ne hanno parlato sul loro profilo Facebook all’uscita della prima annata, la 2024, lo scorso 3 ottobre. Aggiungono che il vino è “nato dalla curiosità di Luigi per un contenitore a lui nuovo – un’anfora da 750 litri – e dal desiderio di andare oltre”. Oltre ci sono andati, e con questo vino hanno posizionato la loro denominazione di origine su una dimensione nuova, fatta di eleganza. Ancora più in alto, fra i grandi vini rosa del mondo.
Lo affermo perché ho avuto la fortuna di assaggiarlo, questo nuovo Cerasuolo Superiore abruzzese della Particella 178, nato sotto le insegne della sottozona Terre di Chieti, e sebbene fossi un cultore del Baldovino e di altri splendidi esempi della denominazione, dico che non avevo mai pensato, sino a ora, che il Cerasuolo d’Abruzzo potesse spingersi fino a questi vertici di eleganza. È uno di quei vini che ti fanno capire quanto il rosa sia prima di tutto uno stile, un modo d’essere, un’idea di espressività, e solo accidentalmente un colore. Mi annoiano le dispute che leggo tuttora sul colore, se il vino rosa debba essere chiaro o scuro. Il vino rosa dev’essere territoriale, e il colore è solo un dettaglio dell’espressività territoriale. Il Cerasuolo si chiama così perché ha il colore della ciliegia, e questa è una prerogativa non dell’uva, non dell’enologia, ma dell’appartenenza alla storia di un luogo. Questo vino della Particella 178 ha il colore della ciliegia a prima maturazione, ed è bellissimo, non per la tinta in sé, quanto perché è l’essenza del territorio.
Ti fa comprendere, un vino così, quel vago mistero del vino rosa, che non è, al gusto, né rosso, né bianco, né un’ibrido fra i due, ma qualcosa di radicalmente diverso, e di specifico. È seta finissima, questo vino. Direi perfino che somiglia, nella trama e nella consistenza, alla sabbia di mare, quando ne prendi un pugno e la fai scorrere, piano, fra le dita, e il vento la sposta un po’ di lato, prima che torni all’arenile. Ha poi una beva assoluta e, insieme, una serietà da grande vino. Da vino senz’altra specificazione. Da vino buonissimo, Se ti ci affidi, ti avvolge, ti prende per mano, ti fa partecipare al proprio equilibrio ineffabile. Fa quattordici gradi e mezzo di alcol, ma sembra leggerissimo. Ti lascia stupito, e ammirato. C’è la brezza calda marina, e quella fresca d’entroterra. Là in fondo, l’eco salato dell’Adriatico.
Aggiungo che, come sono solito fare con i vini rosa che mi piacciono di più, l’ho assaggiato (bevuto) a varie temperature. Ho avuto l’ennesima conferma che un grande vino rosa non vuole il freddo. Andrebbe bevuto di preferenza alla temperatura di un vino rosso. I rossi li tengo in cantinetta a quattordici gradi d’estate, a sedici d’inverno; un vino rosa di gran qualità è perfetto anche sui diciotto. Sono consapevole di passare per eretico nel fare affermazioni del genere, ma provateci, e mi direte. Dobbiamo uscire dagli sterotipi dei vecchi libri di degustazione, e bere il vino per quel che è davvero, ascoltare i suoi desideri. Un vino rosa di gran classe non nasce per essere un’imitazione arrossata di un vino bianco.
Ne sono state prodotte, di questo Particella 178, solo ottocento bottiglie e cinquanta magnum. Chi, come me, ha il vino rosa nel cuore non può farselo scappare. La bottiglia costa 21 euro. Perfino pochi, per un vino così.
Terre di Chieti Cerasuolo d’Abruzzo Superiore Particella 178 2024 Tenuta I Fauri
(95/100)


