L’estate e la rinfrescante serietà del Sidro Vittoria

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Fa caldo, accidenti se fa caldo. E che cosa si beve quando fa caldo e l’alcol picchia in testa? Be’, un sidro, per esempio. Perché il sidro di mele ha una gradazione alcolica relativamente bassa, di solito non sopra l’otto per cento, e spesso è frizzante e agrodolce, e la beva così è rinfrescante. Tutto perfetto, se non fosse che di sidro io ci ho sempre capito poco. Quasi niente. Probabilmente continuo a non capirci granché, ma ho voluto ascoltare i due Andrea che fanno sidro a Vigo di Cadore, sulle Dolomiti, in provincia di Belluno, per provare a comprendere qualcosa. Soprattutto, ho capito che in passato avevo fatto solo cattivi incontri, quelli col sidro iper commerciale, ma il sidro “vero” è tutta un’altra cosa. Una cosa seria, serissima.

Andrea Bonalberti e Andrea Concina sono veneziani, si sono conosciuti a Londra sul finire degli anni Novanta, il sidro gli è entrato nel sangue e quando sono tornati a casa hanno deciso di provare a produrlo. La loro sidreria, nata nel 2014, ha il nome di Sidro Vittoria, ovviamente in omaggio alla famosa regina britannica. Sostengono di ispirarsi alla lezione di lord Scudamore, che fu una specie di Dom Pérignon del sidro. Infatti, fu lui che nel Seicento, applicando tecniche simili a quelle che, pressoché in parallelo, sviluppava l’altro nella Champagne, portò il sidro a una finezza tale da farlo approdare alle tavole nobiliari.

Per riuscire a produrre del sidro “inglese” in Italia, Bonalberti è andato a lavorare dai migliori sidrificatori d’Inghilterra, mentre Concina ha approfondito la progettazione dei frutteti secondo la filosofia della permacultura, la quale teorizza che il valore dei sistemi naturali sia fondato sulla loro complessità. Così nel Bellunese, ai margini dei boschi di Laggio di Cadore, sotto il contrafforte dolomitico del Monte Tudaio, hanno piantato meli di varietà inglesi e vecchie cultivar locali e hanno realizzato strutture funzionali all’insediamento e all’incremento della fauna, dai nidi artificiali alle aree umide alimentate dalle acque piovane e di falda, per l’abbeveramento degli animali selvatici e per la riproduzione di salamandre, rospi e tritoni. Ovviamente, in frutteto si seguono le pratiche dell’agricoltura biologica.

Il loro sidro è fatto col metodo classico. Funziona grosso modo come per lo spumante. Dopo la raccolta, che varia da fine agosto e metà novembre a seconda delle varietà di mele, i frutti vengono sminuzzati e il macinato viene pressato. Quindi il succo di ciascuna varietà di mele viene fatto fermentare separatamente in tini di acciaio inox. Al momento di realizzare la cuvée, si cerca di bilanciare le caratteristiche delle diverse varietà di frutto. Fatto questo, il sidro viene inoculato con lieviti freschi e messo in bottiglia a rifermentare per almeno nove mesi. Come per lo spumante, il residuo di fermentazione viene portato nel collo attraverso il remuage, inclinando le bottiglie progressivamente fino alla posizione verticale (di solito, ci si impiega una settimana o poco più). C’è poi la sboccatura e l’aggiunta della liqueur d’expédition, costituita dallo sciroppo di sidro base, che conferisce la dolcezza voluta. Tappo a fungo e gabbietta, e il gioco è fatto.

Di sidro ne fanno tre versioni. Due, l’Italian Bloom e l’English Rose, vengono prodotte seguendo i disciplinari inglesi. La terza, il Luppololà, prevede l’aggiunta di luppolo infuso a freddo e non filtrato.

Italian Bloom. È un sidro di mele extra dry che nasce da mele di varietà italiane. È l’interpretazione più delicata del sidro aziendale. Molto pulito nei profumi fruttati e floreali, si beve agevolmente e ha una persistenza notevole. Sullo sfondo, permane la vena acidula e vagamente speziata che conosco nelle varietà di mele antiche. Incredibilmente, sta benissimo col carciofo, che, come noto, è invece difficile da sposare col vino. Sappiatelo.

English Rose. Altro sidro extra dry, stavolta da mele di varietà inglesi. Sorprende per la sua indole agrumata, soprattutto con il ricordo di buccia di arancia amara candita. Ha un’acidità notevole, accentuata da una leggera – e voluta – brettatura, e una sapidità che agevola il sorso. Il tannino ne fa un sidro gastronomico. Mentre lo bevevo, avrei voluto avere in tavola un risotto mantecato al Taleggio o al Morlacco del Grappa. Lo chiama a viva voce.

Luppololà. L’unione del sidro con il luppolo. Dopo un’iniziale fermentazione alcolica, al sidro di mele si aggiunge il luppolo che cresce nei frutteti aziendali. Il sidro matura e si arricchisce degli aromi del luppolo, e dunque ha una vena amaricante. Io lo trovo spettacolare per complessità. Sa di pane appena sfornato, di fiori primaverili, di caffè in polvere, di camomilla, di aneto, di kumquat. Acidità vivida, lunghezza interminabile.