L’azzardato incontro di tavola e vino

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Ci sono poi i vocaboli che s’offuscano, cadono in sonno profondo. Per riaffiorare di tant’in tanto, inattesi. Uno di quelli che non mi capitava d’incrociare da tempo è “azzardato”. Un po’ desueto (e anche desueto è un aggettivo obliato). Eppure “azzardato” me lo son sentito rivolger due volte – in occasioni e per motivi diversi – nell’ultima settimana. Una per un mio articolo. Un’altra per certi abbinamenti fra vino e cibo cui ho accennato in una serata del Rotary.
Che cos’ho proposto d’inusitato? Be’, a dire il vero, a me sembra di non aver suggerito niente di clamoroso, a cominciare dallo sposalizio per l’Amarone.
Mi si domandava a cosa maritarlo, l’Amarone. Ovvio che lo si possa – e debba – mettere in tavola con robusti piatti di carne, con le grigliate, con la cacciagione, con gli arrosti. Magari coi formaggi stagionati. E l’ho sommessamente ricordato, ma senz’insistere, ché è ovvio a tal punto che mi sembrava d’offendere i commensali a ribadirlo. Allora ecco che ho suggerito qualcosa d’un po’ inconsueto: Amarone e tonno crudo. Ci stanno insieme, eccome (provato personalmente). L’alcol ha effetto pulente, il velluto del bicchiere s’accosta all’armoniosa pienezza del pesce, lo zucchero che residua completa la sensualità dell’incrocio. Wonderful.
E poi? E poi il Recioto della Valpolicella. Che dell’Amarone è – lo sapete – il padre. Ora, il Recioto è caduto un po’ in oblio anche lui – come certe parole – e invece io continuo, ostinato, a considerarlo il più strabiliante, fascinoso e anche difficile vino che si faccia nella Valpolicella. Un gioiello di pura grazia, quand’è fatto a dovere. Introvabile altrove. Non va ridotto – dunque – al banale, semplice ruolo di vino da dessert.
Anzi, per me il rosso Recioto di Valpolicella non è per nulla – o quasi – vin da dessert. Ché di dolci ne sopporta pochi: il pandoro, qualche ciambella, la «fogàssa» (una focaccia con poco zucchero) cotta sul camino, qualche biscotto con la frutta secca. Stop. Mai e poi mai le creme. Assolutamente mai, mai e poi ancora e di nuovo mai e sottolineo mai il cioccolato, come taluni pretenderebbero (questo sì che è un azzardo). Tutto perché il vino – questo Recioto – ha sì zuccheri, ma soprattutto complessità e dunque spezia (cannella, garofano, cardamomo e sottile vaniglia) e tannino morbido e seduzioni di frutt’appassita (uva rossa e prugna) e anche appena colta (ciliegia e mora) e financo in confettura (piccolo frutto del bosco) e petalo macerato (di geranio e rosa) ed erbe alpestri (e balsamiche) e ancora ricordi di tabacco, di vaniglia, di rossa terra bagnata, talvolta. Ma è basso d’alcol. Fresco di misurata acidità. Nobile rosso.
Ora, ci sta bene – di certo – a fine pasto, ma sprecar tanta nobiltade vinicola per il solo finale di cena mi sembr’assurdo. E dunque usiamolo anche come un rosso un po’ particolare. E se è giovane mettiamoci insieme la soppressa veneta col pan biscotto. Se è d’un anno più avanti sposiamoci il taleggio. Se è di cinque anni almeno, e dunque più austero e cresciuto in note di brandy, di liquore, uniamolo alla lepre in salmì. E sarà applauso a scen’aperta.
Questo ho suggerito. Mi si è detto che è accostamento – l’uno e l’altro e l’altro ancora – azzardato.
Capisco: somigliano – possono somigliare – a provocazioni le proposte che ho detto. Ma, obietto: la tavola è gioco, e dunque non schema, non regola ferrea, non convenzione. Mica l’eccesso, ma una briciola di trasgressione aiuta. Intendo: a renderla appassionata. A ridare passione anche ai giorni d’umanissima noia.

articolo pubblicato originariamente il 3 febbraio 2006