Gratavinum e le sue belle espressioni del Priorat

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In questi ultimi anni ho avuto modo di approfondire molto la conoscenza dei vini spagnoli. Se è chiaramente difficile cogliere tutte le sfumature di ogni zona (ci vorrebbe tanto, troppo tempo), è pero evidente come il panorama sia particolarmente complesso per la natura geologica e climatica di un Paese così grande. È altrettanto chiaro che sia in atto un rinnovamento stilistico grazie all’avanzare di una nuova generazione di produttori.

Volendo schematizzare di molto, possiamo dire che molti vini rossi rispondono a dei criteri che potremmo definire classici: grande concentrazione, alcol, uso spesso smodato del legno, in prevalenza americano. Uno stile che personalmente non comprendo, in particolare per l’effetto di appiattimento causato dal legno americano. Mi pare che tutti i vini siano una spremuta di vaniglia ed alcol. E i vini affinati brevemente in questi contenitori sono ancora peggio, l’effetto asciugante sui tannini è ancora più micidiale. Per fortuna c’è una schiera di produttori che guardano oltre e vogliono ottenere vini di personalità ed aderenti al terroir. Per i bianchi la difficoltà è quella di evitare l’eccesso di tecnicismo, che produce vini senza interesse, piatti e massacrati dai solfiti. Eppure la Spagna è in grado di offrire varietà di grande interesse, pensiamo all’albarino ad esempio.

Una delle regioni più iconiche è il Priorat, salito alla ribalta una ventina di anni or sono grazie al lavoro di alcuni produttori visionari come René Barbier. La caratteristica principale è il suolo di scisto, vera discriminante tra i vini che possono fregiarsi di questa denominazione e gli altri che nascono ad appena pochi centimetri di distanza. Posso testimoniare che le vigne sono letteralmente tagliate in due da diversi tipi di terreno, e non è nemmeno pensabile chiamare Priorat quello che non arriva dalla roccia di scisto. Le rese sono bassissime e le maturità elevate. Il rischio è quello (non infrequente) di caricare troppo i vini di alcol, tannino e materia. Anche qui l’uso del legno è spesso disinibito, col risultato di produrre vini monolitici.

Tra le cantine che più mi sono piaciute vorrei citare Gratavinum. Classicamente le vigne sono in alta collina, e il suolo è quello che si definisce llicorella, pietre di puro scisto di diverse dimensioni. Le varietà piantate sono carinyena e garnatxa. La prima in particolare riesce a bilanciare la naturale esuberanza della grenache. Sono state anche aggiunte uve internazionali come il cabernet sauvignon e la syrah. Si coltiva secondo un rigido protocollo biologico e non viene praticata l’irrigazione. Questi i vini provati.

Priorat 2πr (2 pi greco r) 2017
Circa un 85% di carinyena e 15% di syrah. Interessante l’affinamento che prevede per il 60% barriques di primo, secondo e terzo passaggio e botti di legno ungherese, per il 20% anfore di trerracotta e per il quinto restante damigiane da 54 litri. Aromi puri e puliti, senza interferenze legnose. Ancora giovane e tannico, ha però una grande finezza e non risulta alcolico. Uno stile originale che va sottolineato. (90/100)

Priorat 2πr 2016
Si ritrova lo stesso frutto senza bisogno di spingere nella concentrazione. Si sente maggiormente il legno, una annata più ricca ed alcolica, ne risulta un profilo più rigido. Finale minerale. (87/100)

Priorat GV5 2012
Con questo vino si è cercato di andare ad approfondire quelle che sono le caratteristiche più classiche dei vini della regione. Solo uve autoctone, 70% carinyena e 30% garnatxa. Fermenta in tini aperti di legno francese e ungherese con una macerazione di undici giorni. Si approfondiscono con tutta evidenza le note minerali del Priorat, che ricordano la pietra calda. Profondo, etereo, materico al palato. Termina con sentori terrosi e di frutta matura. Complesso e molto lungo. (92/100)

Priorat Gratavinum del Coster 2013
È ottenuto da una vigna di carinena di centocinque anni. La fermentazione sulle bucce avviene per quattordici giorni in anfore di terracotta da 320 litri, nelle quali il vino affina per dodici mesi. Una dimensione diversa, aromi fragranti di fragole fresche che si mescolano con la grafite e le spezie. Delicato nella prima parte del palato, diventa più caldo nel finale, a tratti si avvicina a un pinto nero. Tannini setosi di grande qualità. (94/100)

Priorat Dolç d’un Piqué 2017
Metà garnatxa e metà carinyena, 80 grammi di zucchero residuo. Non è un vino che mi ha particolarmente colpito. Ho trovato un contrasto non risolto tra la parte tannica e la dolcezza dello zucchero. (84/100)