Fitosanitari, vigneti e televisione

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Mi hanno scritto o chiamato in parecchi per chiedermi un parere sulla puntata di Presa Diretta sul tema del vino. Con mio stupore, la cosa che mi pare abbia più toccato la sensibilità dei miei interlocutori è quel che si è detto circa i trattamenti nei vigneti del Prosecco. Però capisco che, essendo ormai il Prosecco un fenomeno di massa, sia anche l’argomento che desta maggiore attenzione.
Bene, so che deluderò i miei lettori, ma francamente, come giornalista, non so che dire al momento, e questo per un motivo semplice: non conosco di quali prodotti fitosanitari di stia parlando. Non so quali trattamenti si facciano da quelle parti, insomma, e un giudizio – come dire – oggettivo lo potrei trarre solo conoscendo i fatti, che credo nessuno invece conosca davvero. Non solo. Da un punto di vista squisitamente burocratico, ho motivo di ritenere che le cose siano nella norma: chi si fida, oggi, in campagna, ad andar fuori dalle regole? Ci sono tanti di quei controlli…
Passerò invece, se questo mi si chiede, a una valutazione soggettiva, da persona qualunque, da uomo della strada. E dico che se avessi una casa in mezzo alle vigne e nei vigneti ci fosse chi tratta a giorni alterni e dunque mi arrivasse la puzza (dei prodotti fitosanitari, fossero anche solo rame e zolfo) e il rumore (dei trattori) ogni giorno nel naso e nelle orecchie, be’, mi girerebbero un bel po’ le scatole. Anche se pure questo non mi convince: non credo, cioè, che i trattamenti vengano fatti in giorni diversificati, perché in genere i consorzi e le associazioni di categoria diramano consigli univoci sulle date e sulle tipologie dei trattamenti (l’eccezione semmai è stato il 2014, quando pioveva ogni giorno e si andava pressoché a caso).
Credo allora che il problema vero risieda in primo luogo nell’atavica incapacità di pianificazione di noi italiani. Il problema non si porrebbe se si fosse pianificato un uso ragionato del territorio, con le zone residenziali separate adeguatamente da quelle agricole. Si parlava tempo fa dell’ipotesi di piani regolatori specifici per i comuni a vocazione vitivinicola. Non se n’è fatto nulla, e oggi ce ne lamentiamo. Si potrebbe cominciare a porci rimedio almeno adesso.
Credo poi che l’altro tema sia la necessità di passare con gradualità, ma anche con convinzione, ad un progressivo incremento della sensibilità ambientale del settore del vino, e dunque dalla lotta convenzionale contro le malattie della vite alla difesa integrata, e magari da questa alla conduzione biologica, pur con i limiti che anch’essa presenta. Perché questo si realizzi, tuttavia, non bastano la chiacchiere. Servirebbe ad esempio che le istituzioni pubbliche venissero incontro ai viticoltori con degli incentivi reali per l’uso di pratiche non invasive, come ad esempio la confusione sessuale per alcuni parassiti. Queste pratiche costano parecchio di più rispetto ai prodotti normalmente utilizzati in viticoltura, e dunque, soprattutto laddove la redditività dei vigneti sia bassa, è difficile che se ne faccia uso. Ecco, magari si potrebbe iniziare da lì: invece di rutilanti stand pubblici in fiere ed eventi, si potrebbe aiutare il viticoltore a comprare cose meno dannose. Poi di sicuro il contadino non tornerebbe indietro.
Se si fa un passo alla volta, e si va tutti nella stessa direzione, si può andare lontani. Bisogna volere.