Effervescenze, e per me vale come Vino al Vino

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Lo so che quando si osano certi paragoni si rischia, ma tant’è. Dunque, giusto per essere chiari fin da subito, oso affermare, e neppure sommessamente, che “Effervescenze”, il libro che Massimo Zanichelli ha appena pubblicato da Bietti in tema di frizzanti italiani, mi ricorda l’epico “Vino al Vino” di Mario Soldati. Un po’ per il suo pionierismo reportistico, un po’ – e soprattutto – per lo stile narrativo, che rende conto di viaggi tra le vigne e nelle cantine e lascia di sovente la parola al vignaiolo. Con la citazione diretta, con il virgolettato che s’intercala con il racconto dell’autore.

Probabilmente, l’incedere della narrazione è comune alle due opere perché anche Massimo, come Soldati, ha a che vedere col cinema. Lo insegna e lo pratica, da documentarista. Forse è una questione di linguaggio, e che sia benedetto dunque questo linguaggio – come dire – “cinematografico”, che rende “visibile” al lettore quanto scritto sulla carta. Come se invece di leggere si guardasse lo schermo d’un televisore. Non è cosa da poco. Anzi, è cosa che riesce a ben pochi fra chi scrive di vino.

Oppure, mettiamola così, questo “Effervescenze” lo si può leggere come se si trattasse d’una ponderosa rivista, che mette in fila una fitta serie d’articoli i quali seguono tutti le medesime regole editoriali, e dunque non c’è mai discontinuità nella modalità di scrittura. Insomma, se leggi il primo capitolo, sai già come s’articoleranno il secondo e il terzo e via ancora sino alla pagina finale, la 490 (già, sono tante, e infatti l’ho ben detto che il volume è ponderoso, un tomo che pesa mezzo chilo). Un po’ come accade con il wine writing di stile anglosassone. Anche per questo, se vogliamo, il libro è una sorta di “anomalia” rispetto a quanto si è soliti leggere qui da noi, ma è nuovamente una benedizione.

Dicevo che “Effervescenze” tratta di vini frizzanti. Una mappatura pressoché completa dello “stato dell’arte” qui in Italia, una fotografia o se volete proprio un documentario. Dunque, a farla da padroni sono il Prosecco (“Un viaggio nel colfóndo treviagiano” è la sezione, divisa per capitoli, come le altre due, e ciascun capitolo è per un vigneron e una cantina) e il Lambrusco (dentro a “Sotto il cielo frizzante dell’Emilia”, che però si sofferma pure su Gutturnio e Ortrugo e Malvasia), per poi passare alle vigne oltrepadane (“Su e giù per le colline dell’Oltrepò Pavese”).

Non entro in altri dettagli. Chi abbia passione dei frizzanti “vivi” – quelli fatti con la “fermentazione naturale in bottiglia”, sui lieviti – vada a cercare il libro, ché merita l’acquisto, la consultazione e la lettura.

Però due cose le voglio ancora annotare. Dalla prefazione.

La prima è una sottolineatura lessicale. Confessa Zanichelli d’avere “un debole per certi controversi neologismi” come “agrumato” e “mineralità”. S’è riproposto d’impiegarli con parsimonia, ma li ha usati, vivaddio, pur sempre virgolettandoli. Concordo nell’utilizzo e anzi, per me, si può fare a meno sia delle virgolette che della parsimonia.

La seconda viene subito dopo. Dice Massimo: “Rivendico invece l’uso di una parola meravigliosamente onomatopeica – spumante – presente su tutti i dizionari della lingua italiana ma oggetto di recente ostracismo da parte di ambienti un po’ snob del bere contemporaneo”. Evviva. Mi piacciono le rivendicazioni di questo genere. Aggiungono, ai tanti altri, un motivo in più alla lettura del libro.

Massimo Zanichelli, “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vini”, Bietti, euro 25,00.

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