Una denominazione di origine può essere bio? Forse

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I vignaioli della doc del Valdarno di Sopra sembrano intenzionati a riprovarci. Sono una ventina quelli soci del Consorzio di tutela e ce ne sono pochi altri fuori dal Consorzio, ma tutti, proprio tutti, producono e certificano i vini della denominazione secondo la disciplina biologica. Per questo motivo, vorrebbero essere riconosciuti come la prima doc totalmente biologica; obbligatoriamente biologica, intendo, con l’obbligo sancito dal disciplinare di produzione. Ci hanno provato un paio di anni e il Ministero ha risposto picche, così come era accaduto in Francia con l’analoga domanda presentata dall’appellation di Les Baux de Provence. Ora è successo qualche cosa di nuovo, che ha ridato vigore alle aspettative dei produttori toscani. È accaduto che in Spagna la denominazione del Cava ha ottenuto il nulla osta a rendere obbligatoria la disciplina biologica per le sue versioni riserva; insomma, per il top di gamma. Secondo il Consorzio del Valdarno di Sopra, questo dimostrerebbe che un disciplinare può contenere l’obbligatorietà della conduzione biologica. Secondo me, invece (e mi dispiace per le aspettative toscane), dice esattamente il contrario: dimostra che una denominazione di origine “non può” essere integralmente obbligata alla conduzione bio – così come del resto hanno affermato in Italia il Ministero e il Comitato nazionale vini e in Francia l’Inao -, perché semmai l’obbligo può essere previsto solo per una parte di essa, in questo caso quella più pregiata.

Il motivo dell’impossibilità di avere una denominazione di origine che obblighi per disciplinare i produttori alla conduzione biologica è essenzialmente uno, ed è quello che indicavo già due anni fa: non è possibile che il disciplinare della denominazione d’origine, riconosciuta per Decreto, sia oggetto di un condizionamento esterno cogente da parte di un protocollo, quello dell’agricoltura biologica, il quale è indipendente, nelle sue possibili variazioni, rispetto alla denominazione di origine. Di fatto, la denominazione si troverebbe ad essere governata da una realtà esterna, il che non è ammissibile. Le conseguenze potrebbero essere perfino disastrose, qualora si ponesse il caso limite che il protocollo bio venisse variato introducendo nome contrastanti con quelle del disciplinare doc: nessuno potrebbe più produrre vino doc di quella denominazione. Dal punto di vista tecnico, la soluzione alternativa che è stata prospettata è quella di introdurre pari pari le norme attuali del biologico fra le norme agronomiche e produttive del disciplinare: nessuno in questo caso potrebbe porre obiezioni, ma nel contempo la denominazione non potrebbe dichiararsi formalmente bio, che è invece l’aspirazione dei produttori del Valdarno di Sopra. Insomma, si tratterebbe di una soluzione non risolutiva.

Non c’è dunque niente da fare? Forse una strada c’è, anche se è tortuosa e piena di insidie. La strada che intravedo nasce da una palese anomalia dell’ordinamento italiano, consentita in deroga dall’Unione europea. Infatti, per l’Ue i vini a denominazione di origine sono tutti e solo dop, ma in Italia abbiamo ottenuto di poter continuare a scrivere in etichetta le due diverse tipologie del doc e del docg, che sottostanno a discipline nazionali specifiche. In questo varco potrebbero incunearsi i produttori del Valdarno di Sopra con una doppia mossa. La prima consisterebbe nel seguire la medesima strada già aperta dal Cava, ossia richiedere l’obbligatorietà della certificazione biologica per una specifica tipologia di vino: ad esempio, potrebbero prevederlo per la tipologia Riserva, già presente in disciplinare. Una volta ottenuto tale riconoscimento, che di fatto diventerebbe un atto obbligato da parte del Ministero, in quanto riferito non a tutta la denominazione, bensì a una specifica tipologia, il Consorzio potrebbe avviare l’iter di estrusione della specifica tipologia dalla doc, creando una corrispondente docg (nella simulazione che ho ipotizzato, si avrebbe il Valdarno di Sopra Riserva docg). È vero che c’è chi sostiene che in sede unionale la nascita di nuove docg non sia vista benissimo, ma non ravvedo ostacoli insormontabili, stante l’acclarata storicità della denominazione. Quel che conta è che, a mio avviso, nascendo la nuova docg da una costola della doc, e dunque portandosi dietro “tutte” le norme previste per tale costola, ivi compreso l’obbligo del biologico, la neonata docg si troverebbe ad essere l’unica denominazione europea a prevedere l’obbligatorietà del rispetto del protocollo bio, come vogliono i produttori del Valdarno di Sopra. Più che a questo la mia fantasia e la mia esperienza in materia di normativa vitivinicola (qualche disciplinare in vita mia l’ho scritto) non arrivano: non dico che sia una soluzione blindata, ma trovo difficile che la burocrazia possa opporle una dura resistenza.