Compagno Tano, così non vale. Di solito faccio fatica a dirla quella parola, compagno, perché non mi piacciono le ideologie, di qualunque colore, però a Tiziano, unica eccezione che mi concedessi, gliela tributavo, in omaggio alla sua fedeltà a un sentire che in questo mondo privo di identità sapeva di antico, e oggi che la notizia della morte improvvisa del collega giornalista e blogger trentino Tiziano Bianchi (ma quale morte non è improvvisa, improvvida e imprevista) mi lascia senza fiato, mi parrebbe un insulto non dirglielo forte, quel “compagno” nel quale si riconosceva.
Mi pare strano perfino parlare di lui al tempo verbale imperfetto, e forse imperfetta era anche la nostra amicizia professionale, mai del tutto compiuta, mai del tutto approfondita, eppure reciprocamente vissuta con stima; anzi, a rafforzarla era forse questo viverla a distanza, con ritegno reciproco, fondata su poche, brevi telefonate o altrettanto sintetiche conversazioni informatiche o, ancora, tramite gli eventi nei quali mi coinvolgeva; anche in queste occasioni, lui se ne stava, intanto, in disparte, e a volte neppure presenziava. Del resto, non avevamo bisogno di dilungarci, perché quasi sempre ci capivamo in due frasi, in un battuto di ciglia, perfino in un silenzio. Correva, tra di noi, una stima ricambiata nei fatti e nella concretezza, come mi piace che sia.
Il Tano, poi, era un lampo di luce sulla realtà vitivincola trentina, da difensore tenace dell’autoctonia, del “territorio che resiste“, per dirla con il nome del suo blog. L’impostazione del suo pensiero e della sua azione, da uomo della sinistra storica, era ideologicamente attenta agli ultimi, che nel mondo del vino sono i contadini che possiedono un palmo di terra, oppure i giovani, che stava valorizzando con una serie di piccoli appuntamenti di forte capacità evocativa; la sua indole, poi, era programmaticamente contraria a ogni forma di conformismo e di autoritarismo, e soprattutto quello del “padronato multinazionalistico”, terminologia d’antan con la quale si riferiva alla pressione d’impronta spiccatamente mercantile delle grosse case vinicole, alla fonte dell’appiattimento delle diversità, e in questa visione ci fiutavamo, in qualche modo, simili. Eppure, al contempo, Tiziano mi ha più volte dimostrato un realismo esemplare nella lettura delle dinamiche di mercato e delle esigenze di sostenibilità economica e finanziaria dell’agire imprenditoriale, e anche questo era terreno di confronto schietto, giacché non gli sfuggiva che il bene comune passa anche attraverso la necessità di generare reddito perché lo si possa redistribuire; altrimenti sono solo parole, ma con le parole non ci si mangia. In questo, il suo comunismo era molto moderno, e non so con quale epiteto mi avrebbe bollato, dopo avermi sentito proferire una simile affermazione.
Ciao, compagno Tiziano. Cercherò di esserti degno, da un’altra parte della barricata. Ma le barricate hanno sempre due lati, e sono entrambi degni, i fianchi dai quali combattere, quando si tratta di difendere la libertà. Tu e io lo sapevamo. Ora mi sento più povero.