Se alla fine vincesse il modello Vinitaly?

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Dunque, eccoci alla vigilia della cinquantacinquesima edizione di Vinitaly. Come ogni anno, c’è chi fa la Cassandra e predice l’imminente crollo della fiera veronese del vino. Quest’anno, ad agitare il fronte anti Vinitaly c’è la decisione di disertare la fiera scaligera assunta da un grosso marchio del vino toscano e dal consorzio del Barolo e del Barbaresco. Nulla di nuovo, in passato accadde con brand altrettanto importanti e Veronafiere ha sempre retto il colpo: stavolta risponde imperterrita annunciando la presenza di quattromila espositori. Semmai, per la prima volta i dubbi riguardano il presunto eterno avversario, il ProWein. Sin qui sembrava che la fiera tedesca, con il proprio dichiarato efficientismo e il forte appeal internazionale, dovesse far tabula rasa di quella di Verona. Invece adesso c’è chi si domanda se il ProWein possa reggere l’onda d’urto provocata da Wine Paris & Vinexpo Paris.

L’edizione 2023 della fiera di Düsseldorf non sembra essere andata benissimo: colpa di quella di Parigi, che si è svolta giusto un mese prima? Sinceramente, la risposta non ce l’ho, e per trarre valutazioni probatorie bisogna aspettare di vedere come va il Vinitaly, per verificare se a essere in dubbio sia una singola esposizione o se piuttosto a essere superato sia lo stesso modello delle grandi fiere. Però da questi due mesi di frullatore fieristico tra Francia, Germania e Italia mi pare che sia emersa chiaramente un’evidenza: il Vinitaly non può essere in alcun modo paragonato con la fiera tedesca e con quella francese.

Sinora, l’evidenza di questa incomparabilità della fiera di Verona non era mai stata così esplicita. Finché le grandi fiere del vino erano due, venivano semplicemente considerate, anche da me, l’una competitiva con l’altra o tutt’al più complementari. Ora che sono tre balza agli occhi l’assoluta diversità tra Vinitaly e le altre due. Infatti, nello scacchiere globale ProWein e WineParis hanno entrambe l’ambizione di essere “la” fiera internazionale del vino, mentre Vinitaly si tiene stretto il ruolo di fiera “regionale”, ossia specializzata su un’unica nazione, l’Italia, che peraltro resta uno dei tre maggiori produttori vinicoli del mondo. Dunque, la forza di Vinitaly sembra stare nella sua diversità. Si tratta di una diversità che al momento pare restare un riferimento irrinunciabile per chi voglia fare business con il vino italiano. Stando così le cose, balza agli occhi come un’anomalia il fatto che la Francia, pur con il suo enorme appeal, non possieda e non abbia mai avuto una vera fiera “nazionale” del vino. Anzi, non escludo che la nascita di WineParis & Vinexpo Paris si sia portata dietro il carattere (il vulnus?) che era tipico dell’originaria Vinexpo Bordeaux: quello di voler a tutti i costi essere punto di riferimento internazionale, non nazionale. La domanda da porsi sulla fiera francese è questa: la conclamata intenzione di puntare all’internazionalizzazione espositiva, che è appannaggio anche dei tedeschi, è un suo punto di forza o di debolezza? Non lo so, ma insisto a riproporre il dubbio che ho già espresso qualche tempo fa: che senso hanno due fiere internazionali del vino, in Europa, a un mese di distanza l’una dall’altra, a Parigi e Düsseldorf? E se il senso non ci fosse, quale tra le due fiere internazionali ha la possibilità di uscirne vincente? Il ProWein con la sua esperienza maturata in quasi trent’anni di attività e il peso enorme e per alcuni essenziale del mercato tedesco oppure la neonata fiera di Parigi che poggia sul glamour della capitale francese e sulla vicinanza con alcuni dei più attrattivi territori vinicoli del mondo, come la Champagne o la Borgogna?

Santo cielo quante domande senza risposta! Però di interrogativi a cui mi sento, almeno parzialmente, di rispondere ce n’è un altro, ossia se basti la diversità (a questo punto direi anzi l’unicità) del Vinitaly come polizza sulla propria vita. Io dico di sì, a un’unica e non banale condizione: enfatizzare questo proprio carattere peculiare, rendendo imprescindibile la presenza a Verona per chiunque, nel mondo, voglia fare dei soldi con il vino italiano. Una sfida notevole, per il management veronese, ancorché percorribile. Il tutto sempre ammesso che non sia superato, come dicevo sopra, il format stesso delle grandi fiera. Ma no, ritengo che sia da rivedere, ma che non sia completamente superato. Un posto dove ritrovarsi in tanti serve.