Clara e il vino che non doveva esistere

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Non ho più avuto notizie dei Non voglio che Clara, gruppo musicale bellunese che era uscito con uno dei più begli album dell’ultimo decennio, “L’amore fin che dura“. Sulla pagina Wikipedia della band è scritto che “il nome del gruppo, come spiegano gli stessi componenti, significa voglio Clara e nessun’altra”. Ebbene, pur non essendo così intransigente da non volere altro, dico che ho bevuto un vino che si chiama proprio Clara e che riberrei molto volentieri, soprattutto dopo che s’è affinato ancora un po’ in bottiglia. Si tratta di un vino rosso canavesano quasi hobbistico, prodotto da padre e figlio che fanno gli artigiani orafi a Ivrea. Si chiamano Adriano e Marco Piano. Adriano è stato delegato dell’Associazione italiana sommelier del Canavese per un decennio e alla loro micro cantina hanno dato il nome di DecimoFilare.

In realtà, quel vino lì ha rischiato di non esistere neppure. La storia la racconto così come la ricordo dal racconto che me ne ha fatto Marco, e mi scuso da subito per le eventuali inesattezze. Insomma, c’era una vigna che apparteneva a un amico, venuto a mancare nel 2019. Loro sono andati a vederla ed è stata una specie di colpo di fulmine, e poi il nonno veniva da lì, da Lessolo, c’era anche un richiamo affettivo. L’idea era quella di coltivarci erbaluce e nebbiolo. Solo che accanto c’era anche un piccolo fondo di una signora più che ottantenne. Vengono fatti convinti di prendere anche quell’appezzamento nel quale ci sono vecchie vigne semi abbandonate di nebbiolo, di freisa, di barbera, di neretti, di croatina e chissà che altro, tutte cresciute insieme e invase dalle roverelle. Vorrebbero estirparle per metterci altro nebbiolo, ma la signora si mostra addolorata all’idea di veder levare le vecchie piante che aveva curato per anni, così i Piano si dicono “proviamo a vedere cosa ne esce, semmai estirperemo più avanti”. Le piante, ripulite, reagiscono bene, le fallanze vengono sistemate con della barbera. Decidono di tenerle e di farci vino. La moglie di Marco vuol portare la buona notizia alla signora, ma l’anziana nel frattempo è mancata. Allora chiedono ai figli di poterle almeno dedicare l’etichetta. Il nome della signora era Clara.

A vinificare ci pensa Vittorio Garda, giovane enologo che nel Canavese sta facendo molto, e molto bene. Fino all’anno scorso era anche presidente dei Giovani Vignaioli Canavesani, cui aderisce anche DecimoFilare. La prima vendemmia del Clara è la 2020. La vinificazione si fa per metà in tonneau e per metà in acciaio. Il vino ha l’imprinting delle colline moreniche: acidità, sale, finale asciutto e poi di nuovo sale. L’approccio è rusticheggiante, di quella bella rusticità contadina che poggia proprio sulla freschezza, e questa ti aiuta a bere e rende il vino gastronomico. Il tannino non eccede, ma sostiene e allunga il fruttino (la mora, la prugna selvatica). Mi è piaciuto parecchio, questo vino dedicato alla signora Clara, cui va il mio pensiero riconoscente.

Vino Rosso Clara 2020 DecimoFilare
(88/100)

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