Château Thivin, ovvero la finezza

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Se un giorno avessi l’occasione di stilare una graduatoria dei produttori che a mio avviso sappiano conciliare in maniera impeccabile, nei loro vini, la finezza con la facilità di beva (e la gastronomicità, terzo elemento per me irrinunciabile), una delle posizioni di vertice sarebbe certamente occupata da Château Thivin.

La sede è a Odenas, al numero 630 della stradicciola che conduce sul Mont Brouilly, nel Beaujolais. Da sei generazioni, a fare vino in questo luogo silente e verdissimo di vigne è la famiglia Geoffray. Da quando, cioè, Zaccharie Geoffray e la moglie Marguerite Bernard acquistarono all’asta Château Thivin, una dimora d’origine trecentesca, e i due ettari di vigne che portavano il nome di le Clos de Brouilly. Era l’8 giugno del 1877, anno di gelate e di fillossera.

Ebbene, le bottiglie di Château Thivin sono la dimostrazione più efficace e completa di come i cru del Beaujolais (o almeno alcuni) possiedano un’indole perfettamente borgognona (del resto, qui siamo immediatamente a sud della Bourgogne propriamente detta, e queste terre ne sono una sorta di prolungamento), pur coltivandosi la varietà del gamay invece che il pinot noir.

I loro vini li acquisto e li bevo da anni, ma in azienda ci sono stato solo di recente, ed era da un po’ che desideravo recarmici. Ho parcheggiato a lato della via. Un albero secolare fa da sentinella all’ingresso, per nulla appariscente. Il cortiletto d’accesso è lineare, lindo, curato. Sembra quasi la descrizione dei vini che si fanno qui. Sulla sinistra il piccolo vino shop, a destra la cantina storica, all’insegna dell’artigianalità, al centro la residenza padronale, una bella casa di campagna proporzionata e immune dallo sfarzo, con le torrette che guardano le colline. Non c’è imponenza, semmai un’eleganza misurata e austera. Ancora una volta, una descrizione che si può applicare anche al vino, il che non mi stupisce. Sono convinto, infatti, che i grandi produttori siano quelli che sanno raccontare, nel vino, la loro maniera di vivere il paesaggio, di sentire il territorio, di pensare all’identità di un luogo e di una vigna.

L’umanità, per me, è l’elemento fondamentale dell’idea stessa di terroir, e adoro i vini che sappiano descrivermi la terra da cui nascono e le persone che, da quella terra, li fanno nascere. O meglio, mi piace, bevendo un vino, farmi un’idea delle terre e delle genti che l’hanno generato e solo successivamente vado a verificare se quell’idea sia fondata. Ho fatto così anche stavolta, e ho ricevuto solo conferme.

Ho avuto il piacere e l’onore di assaggiare i vari vini di Château Thivin insieme a Sonja Geoffray Baumann, persona squisita, che in azienda si occupa sia del marketing, sia della sperimentazione viticola e vinicola.

Di seguito dico dei vini che ho assaggiato. In ordine di degustazione.

Beaujolais Villages Blanc Marguerite 2019. I vini bianchi sono una quota minima della produzione del Beaujolais. Questo viene da vigne di chardonnay coltivate su un terreno argilloso e calcareo nell’area di Brouilly ed è davvero piacevole, con quella sua freschezza vibrante. (90/100)

Beaujolais Blanc Clos de Rochebonne 2019. Siamo sulle pierres dorées, le pietre dorate, imprinting di alcuni paesini della zona. Il clos nacque come pertinenza di château de Rochebonne, a Theizé. Il vino affascina con la croccantezza del frutto giallo e la mineralità affumicata. (91/100)

Beaujolais Villages Gamay Noir Vignes d’Ecussol 2019. Dicevo che Sonja Geoffray si occupa anche d’innovare. Questo è un vino nuovo. Con il tappo a vite. Destinato a una beva spensierata. Assai varietale, è denso di fruttino nero. (85/100)

Brouilly Reverdon 2020. Eccoci nel cru di Brouilly, nel lieu dit Reverdon, cento per cento granito rosa. Freschezza, tensione, succosità, dinamicità, eleganza e una florealità piuttosto spiccata che ingentilisce il sorso salato. Tante delle prerogative che cerco in un vino rosso. (91/100)

Côte de Brouilly Les Sept Vignes 2020. Che volete farci, ho un debole per questo vino, che rappresenta la cuvée tradizionale di Château Thivin, assemblaggio di sette diverse parcelle di vigna sul Mont Brouilly. Elegantissimo e bevibilissimo, non so fare a meno di averlo in cantina. (92/100)

Côte de Brouilly Les Griottes de Brulhié 2019. Brulhié è l’antico nome di Brouilly. Il vino nasce con un obiettivo: esaltare la freschezza, e ci riesce (magari anche grazie a quel niente di chardonnay che si fonde col gamay). Ciliegie selvatiche, fiori rossi, spezie orientali. Molto, molto buono. (94/100)

Côte de Brouilly Cuvée Zacharie 2019. Il vino dedicato al fondatore. Viene da vigne vecchie, almeno cinquantenni – e se ne avverte l’austera nobiltà – coltivate su suoli vulcanici di diorite. Elegantissimo, credetemi. Il frutto schiocca sotto i denti, le spezie avvolgono il palato. Splendido. (95/100)

Côte de Brouilly Godefroy 2009. Di fronte a un vino del genere può capitare di commuoversi. La vigna ultracentenaria distilla ricordi di mirto, d’incenso, d’aria marina, di pepe appena franto, di mercato orientale. Il tannino è saldo, l’integrità del frutto assoluta, l’età inavvertita. (96/100)