Case Vecie, la vigna, la biodiversità e il sogno avverato

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Ci sono persone che sanno vedere il futuro. In Valpolicella c’è stato Roberto Ferrarini. Il Prof, così lo chiamavano. Perché insegnava enologia in università. Accompagnava anche la crescita di alcune aziende che gli si affidavano e il verbo affidare è affine al sostantivo fiducia, è non è un caso che l’abbia qui usato. In verità, finì indirettamente per accompagnare un intero territorio e per insegnare a tutti coloro che, nelle vigne e nella cantine, erano disposti ad ascoltarlo. Ebbe invece relativamente poco per sé, rispetto al merito, e ancora poco ha, seppure nelle memorie, giacché la sua opera meriterebbe più ampia divulgazione.

Una delle intuizioni di Roberto Ferrarini fu che in Valpolicella la vigna dovesse spingersi più in alto, verso la collina estrema, in cerca di maggiore escursione termica, di una freschezza accesa e di vendemmie lente. Oggi, col cambiamento climatico in atto, lo si dà per scontato. Venticinque anni fa scontato non lo era per nulla ed anzi poteva apparire – e appariva – temerario.

Le Case Vecie, che amministrativamente ricadono sotto il comune di Grezzana, ma che sono in realtà una sorta di prolungamento delle Torricelle della città di Verona, che si vede là nel fondovalle, erano il posto giusto, coi loro quattrocento metri di altitudine e un’esposizione aperta verso sud. Poi, la ventilazione continua, l’assenza di nebbie, la maturazione tardiva. Roberto lo disse a Stefano Cesari, il patron di Brigaldara. Erano, quelle terre, d’un ramo parentale. Lì c’erano gli orti di famiglia. Stefano, che confidava nel professore (vedete? ancora un verbo che concerne la sfera della fiducia), si adoperò all’impresa, prima prendendole in locazione, quindi acquisendole, e cominciò a ripiantare la vigna.

Oggi lassù, su quei suoli rossastri e sassosi, una terra di mezzo che non è più zona Classica e non è ancora Valpantena, la vigna prende dieci ettari. Altri sessanta sono a bosco e una parte del bosco è stata piantumata con ceppi micorizzati, per farci tartufi. C’è tanta, tanta biodiversità. Ci sono roveri e castagni e si stanno facendo ancora impianti di vigne, recuperando aree dove già c’erano in passato, e si ritirano su le marogne, i muri di sasso che terrazzano il pendio. Una delle vigne, quella delle Mandrie, è dedicata all’uva da lavorare fresca. Il Valpolicella Superiore viene da lì.

Si lavora anche sugli edifici, su quelle “case vecchie” che danno nome alla località. Il cascinale ospiterà una locanda, e all’ora di pranzo accoglierà i ciclisti – tanti – che salgono quassù dalla città. La strada asfaltata passa poco sotto, a mezzo chilometro. La sera ci si salirà per cenare nella frescura. Tra i boschi nascerà un agricampeggio. È la missione di Lamberto e Antonio, i figli di Stefano.

I vini delle Case Vecie, adesso.

Valpolicella Superiore Case Vecie 2019 Brigaldara. Il vino è giovanissimo, e qualche mese ancora di bottiglia gli farà benone. Ha di già un naso spettacolare, valpolicellese in toto con quella ciliegia e quelle spezie variegate e ricche che prorompono dal calice. In bocca c’è poi quella freschezza accessa che rende gastronomico il sorso e chiama la tavola e il cibo e la compagnia. Soprattutto c’è l’imprinting delle Case Vecie, ossia una vena di clorofilla, di erba alpestre, che si ritrova costante in tutti i vini di qui, da uve fresche o appassite che siano. (88/100)

Amarone della Valpolicella Case Vecie 2015 Brigaldara. Come puoi non esultare di fronte a un vino così? Quei frutti e quelle speziature che si rinvengono nel Superiore, qui trovano amplificazione e nel contempo assumono una finezza e una cesellatura più minuziosa ed ampia. Ugualmente accade per la nota officinale che marca l’appartenenza al territorio. Dandogli tempo nel bicchiere, il vino si apre e si fa sempre più vocato all’eleganza, sempre tenendosi tuttavia vibrante per quella sua bella freschezza. Ora è presto, diventerà grande. (95/100)

Amarone della Valpolicella Case Vecie 2007 Brigaldara. Credo che quest’Amarone più maturo racconti bene la netta differenza che i vini di qui hanno rispetto a quelli, pur prossimi, dell’area Classica, com’è giusto che sia, e come tuttavia non sempre accade nell’Amarone, perché c’è sempre il rischio che la tecnica – l’appassimento – prevalga sull’origine. Il frutto, pur piuttosto opulente, è infatti accompagnato da una marcata florealità, e questa a sua volta s’intride del tocco balsamico di cui ho già detto e che rappresenta l’anima delle Case Vecie. (90/100)