Carnuntum, i rossi austriaci dalle origini romane

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Carnuntum fu la sede dei legionari romani nell’attuale Pannonia, in Austria. Una fortificazione costruita a tempo di record. Divenne anche il quartiere generale della classis pannonica, la flotta delle imbarcazioni che controllavano il corso del medio Danubio. Furono loro, i romani, a diffondere la viticoltura nella zona, com’è accaduto in tante altre parti d’Europa. Oggi la tradizione viticola quasi bimillenaria del territorio è rinverdita da una denominazione di origine che si rifà all’antico nome della provincia, Carnuntum, appunto. È stata riconosciuta nel 1993 ed è la più piccola fra le aree vinicole della Niederösterreich, la cosiddetta Bassa Austria, che è bassa solo perché sta, geograficamente, a sud est di Vienna e sotto il Danubio. Si sviluppa attualmente su 836 ettari e i produttori sono circa centonovanta. Le bottiglie prodotte annualmente sfiorano i cinque milioni e mezzo di pezzi. I bianchi rappresentano il settantasette per cento del totale e per la metà sono appannaggio del grüner veltliner. Tra le uve rosse primeggia lo zweigelt, ma sta crescendo l’interesse per il blaufränkisch.

I vigneti migliori hanno una loro classificazione, quella dei Riedenwein, da vigne singole. Insomma, dei cru all’interno di sei sottozone: Göttlesbrunn, Hainburg, Höflein, Petronell-Carnuntum, Prellenkirchen e Stixneusiedl. I rossi migliori a base di zweigelt hanno un loro marchio, Rubin Carnuntum, che puntano all’eleganza, lasciando perdere la potenza. Ai vini rossi nella zona ci credono. Sono i maggiori produttori di rossi di tutta la Niederösterreich, ne fanno il cinquantacinque per cento di tutta la regione. Il cambio climatico, paradossalmente, aiuta. Non è mai stato facilissimo farci vino, con il clima che c’è da quelle parti, punto di confluenza fra il clima continentale pannoninco, il clima atlantico, i venti freddi che scendono da nord e le correnti illirico-adriatiche che spirano da sud. Ci sono, in media, fino a trecento giorni di vento all’anno, da quelle parti (e il paesaggio è contrappuntato dalle pale eoliche). Chi è meteopatico ha i suoi bei problemi. Però se altrove il riscaldamento globale mette in crisi la freschezza e la beva dei vini, là non c’è problema a conservare le acidità, e per i vini rossi si può dunque lavorare sulla finezza.

Dei rossi della dac (la nostra doc) Carnuntum ne ho assaggiati cinque nel corso di un seminario della Carnuntum Academy. Una degustazione incentrata sull’annata 2020, che è stata quanto meno sfidante, per via dei problemi sanitari che abbiamo avuto in tutto il mondo, l’estate torrida e la siccità. Però l’autunno è andato bene. Settembre è stato asciutto abbastanza a lungo per vendemmiare prima delle piogge. Di seguito le mie impressioni.

Rubin Carnuntum 2020 Gottschuly-Grassl. Rubino carico, brillante. Sapido e molto giovane. Compatto, è il sale che aiuta il sorso. Le vene affumicate che intersecano il fruttino nero, la mora di rovo soprattutto. Bisogna attenderlo. Tappo a vite. (86/100)

Zweigelt Dornenvogel 2020 Glatzer. È insieme floreale e fruttato (il piccolo frutto, la ciliegia selvatica). Dinamico e salato, dispone di consistente allungo. Gli farà bene almeno un altro anno di sosta in bottiglia per smussare il suo lato più rustico. (87/100)

Ried Braunsberg 2020 Riedmüller. Il lato “naturale” del Carnuntum. Ha profumi eleganti e avvincenti di fiori e di erbe alpestri. Austero, giovanile e sapido, dispone di una fitta trama tannica e mostra, a mio avviso, un notevole potenziale evolutivo. (90/100)

Ried Aubühl 1 ÖTW 2020 Artner. Il frutto è concentrato, il colore altrettanto carico. Mostra una lunghezza piuttosto importante e una consistente pulizia enologica, che consentirà una positiva evoluzione, ma non è esattamente il mio stile di vino. (86/100)

Ried Bärnreiser 1ÖTW 2020 Taferner. Frutto rosso succoso, spezia orientale, grafite, fiori dal profumo dolce. Una danza solenne, un valzer. L’eleganza che appartiene al territorio. Certo, è giovane, ma scommetto sul suo futuro in bottiglia. (92/100)