Il bivio dell’Amarone e i rischi del riposizionamento

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Aggirandomi nelle sale dell’Anteprima Amarone, al palazzo della Gran Guardia di Verona, sono rimasto abbastanza stupito nell’intercettare qui e là fra il pubblico qualche commento che evidenziava un presunto smarrimento di “tipicità”. L’obiezione scaturiva dal fatto che molti degli Amarone dell’annata 2015 si presentano meno concentrati rispetto a quanto si era abituati da almeno un paio di decenni e chi sollevava obiezioni individuava invece proprio nella muscolarità l’elemento cardine della “tipicità” percepita dell’Amarone.

Il mio stupore nasceva dal fatto che a me questo progressivo “alleggerimento” dell’Amarone piace e lo trovo coerente con lo stile originario dell’Amarone, che non era esattamente improntato alla grassezza, come attestano certe (rare) bottiglie degli anni Sessanta o Settanta.

Non solo. Si tratta di un cambio di marcia che mi pare in sintonia con quella mutazione di atteggiamento che sta (per me fortunatamente) affiorando nel mondo a vantaggio della ricerca di una maggiore finezza dei vini: ne ho parlato più volte qui su The Internet Gourmet. Ecco, dai primi assaggi dell’Amarone 2015 mi pare che in Valpolicella si sia incominciato a prenderne coscienza. Del resto, i produttori amaronisti sono continuamente in viaggio verso ogni angolo del mondo, e dunque la nuova tendenza l’hanno percepita di sicuro.

Tuttavia, l’obiezione va meditata. Perché è vero, c’è un’intera generazione di bevitori che è cresciuta conoscendo esclusivamente l’Amarone della potenza, della dolcezza, della tannicità, quello che ha incominciato la sua strepitosa scalata con gli anni Novanta, e a questa generazione di bevitori l’Amarone è piaciuto proprio per queste sue caratteristiche e dunque sono queste le prerogative che ritengono (con loro buona ragione) “tipiche”. Ci sta dunque che si trovino spiazzati e magari anche delusi dall’arretramento.

Insomma, se da un lato c’è nel mondo la tendenza a bere vini più fini, dall’altro c’è chi non rinuncia alla potenza muscolare, ritenendola l’unica consona all’Amarone. Dunque, i produttori si trovano davanti a un bivio, e non è facile fare sterzate quando si produce un vino che richiede almeno due o tre anni di cantina prima di cominciare ad affacciarsi sul mercato, con le etichette di punta che hanno orizzonti temporali ancora più lunghi.

Il rischio è doppio: non intercettare le nuove tendenze globali restando attaccati ai canoni dell’opulenza per non scontentare i clienti attuali, oppure andare nella direzione nuova per conquistare nuovi spazi rischiando però di perdere quella clientela che non si riconosce in un Amarone diverso da quello che ha conosciuto negli ultimi venticinque o trent’anni.

Bel dilemma.