La prima esigenza della sostenibilità è la biodiversità

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Le cose si fanno o perché ci si crede o perché conviene o perché si è costretti. Vale anche per l’agricoltura e la viticoltura. Prendiamo il biologico o il variegato mondo del naturale. I primi vi si approcciarono per convinzione, e ancora ce n’è di agricoltori e vignaioli per i quali la spinta al cambiamento è in primis culturale. Poi venne chi ci vedeva una convenienza, dato che i prodotti bio spuntavano prezzi più alti anche in grande distribuzione. Ora sta arrivando la terza categoria, che si incrementerà in modo considerevole se i futuri finanziamenti comunitari saranno improntati, come pare plausibile, secondo i dettami della strategia Farm to Fork, con la quale l’Unione europea punta a una considerevole estensione delle aree agricole coltivate secondi i canoni biologici.

Si dirà che tutti e tre i casi portano comunque a un comune risultato di utilità sociale, con una maggiore sostenibilità delle attività agricole e vitivinicole. Sta bene, ma c’è un distinguo da fare. Il fatto è che la prima categoria, quella dei convinti, accompagna generalmente il passaggio alle pratiche sostenibili con un incremento delle biodiversità nei terreni coltivati, anche attraverso la diversificazione delle coltivazioni (la vigna, l’olivo, i cereali, i legumi, la frutta o altro ancora). Gli altri, coloro che sono spinti dalla convenienza economica o finanziaria, tengono un approccio sostanzialmente orientato alla monocoltura, pratica del sovescio a parte. Credo che si tratti di una grossa differenza, che andrebbe corretta, anche forzosamente (vedi il tema dei finanziamenti pubblici). Perché la monocoltura agricola è impoverente per il territorio e la terra diventa fabbrica.

Basterebbe incominciare da minime contromisure, che per quanto piccole siano, comunque, proiettate su larga scala, portano a un beneficio collettivo piuttosto importante. Faccio un esempio pratico citando un caso che mi riguarda. Qualche settimana fa, mi è stato chiesto un parere circa il regolamento di uno storico concorso destinato a premiare i migliori vigneti di un dato territorio. I parametri utilizzati erano tutti inerenti alla vigna in sé e alle pratiche agronomiche sulla vite. Ho suggerito di inserire due nuovi parametri premianti che riguardassero il contesto nel quale vegeta il vigneto. Il primo parametro che ho chiesto di aggiungere è la valutazione della ricchezza di biodiversità – botaniche ed animali – presenti nel vigneto, poiché quest’elemento descrive anche la salubrità dell’area. Il secondo è la presenza di siepi di recinzione ai margini dei vigneti. Le siepi, in particolare, sono un elemento che è andato scomparendo dai paesaggi agricoli negli ultimi decenni. Si tratta invece di un ambiente prezioso per una quantità enorme di specie animali che vi trovano protezione o nutrimento, e come tale andrebbe tutelato ove esistente e incentivato ove non più presente. L’eventuale obiezione che la siepe sia improduttiva la rimando al mittente. Non è sempre la produttività immediata ciò da cui traiamo beneficio. Anzi, soprattutto negli ultimi anni ci siamo accorti che a un beneficio di breve periodo può derivare un danno di lunga durata o di forte impatto. Investire in biodiversità offre vantaggi durevoli, se l’obiettivo è la sostenibilità della vita.


1 comment

  1. Luigi Sandri

    condivido in toto !

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