Italia–Francia, la sfida dei bordolesi

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La degustazione, condotta insieme al mio agguerrito gruppo di appassionati, voleva giocare sul rapporto tra Italia e Francia prendendo come scusa i vitigni bordolesi. Uve come il merlot e il cabernet sauvignon fanno ormai parte delle cosiddette “uve internazionali”. Sono varietà tra le più diffuse al mondo per la loro estrema plasticità e capacità di adattamento a qualsiasi territorio. Il paradosso è che spesso i vini che ne risultano sono piatti, tecnici, mediamente buoni ma non certo indimenticabili. Insomma, anche queste varietà cosmopolite hanno i loro terroir di elezione, e comunque la si pensi, Bordeaux rimane ancora IL luogo di riferimento per queste uve. L’Italia ha iniziato a piantare le varietà bordolesi nell’800 (spero di non sbagliarmi, ma i testi non sono chiarissimi in questo senso, perdonatemi se non è così), e in alcuni territori si parla ormai di vitigni autoctoni per quanto sono radicati nella cultura contadina locale. Pensiamo al Veneto, solo per fare un esempio. Vediamo come è andato il confronto.

Saint-Estèphe 1993 Château Montrose. Non è certamente l’anno più glorioso per Bordeaux e per il Médoc. Da subito il naso sembra vegetale, poi sa di formaggio, cuoio e confettura di mirtilli. Sembra avere più spessore al palato, dove è più largo che profondo. Accanto a cenni minerali persiste la sensazione di brodo di verdura che caratterizza il naso, la struttura non è proprio fenomenale. Sembra evanescente e i tannini ritornano nel finale. Probabilmente una bottiglia con un tappo poco felice, le altre che avevo provato erano decisamente migliori. (84/100)

Bolgheri Sassicaia 1998 Tenuta San Guido. Un altro vino che non si è espresso all’altezza delle aspettative. Qui è subito evidente l’impiccio del legno di affinamento. Seguono poi note di carne e brodo, fieno, erba tagliata, note animali. Si riscatta parzialmente al palato dove non manca di potenza, ma il tannico asciuga e accorcia il vino. Sembra monolitico e mancare di eleganza, anche se va detto che con il tempo continua a migliorare. Escono in finale la viola e una nota ferrosa. Resta l’impressione di un vino dimostrativo e non finissimo, ma potrebbe attraversare una fase poco felice. (85/100)

Saint-Émilion Grand Cru 1995 Château La Serre. Ancora giovane, un portamento molto bordolese, tabacco, cassis , spezie, menta e carne. L’alcol impatta il palato, ma il vino è abbastanza fine, i tannini sono infusi e non troppo estratti. Finale di liquirizia e fiori secchi che però manca di qualcosa. Si può già bere. (88/100)

Südtiroler Cabernet-Merlot Auhof 1997 Georg Baron Widmann. Taglio bordolese classico. Un vino che inizia ad evolvere e tira fuori profumi di tabacco, cuoio, tartufo e terra, accanto a cenni di legno che vanno verso il caffè e il vegetale. Fresco e lungo, l’alcol sostiene la struttura. Rimane tutto di un blocco, come se non riuscisse a staccarsi da questa dimensione. Termina con cannella, spezie dolci ed una affumicatura decisa e ritorna la nota vegetale che diventa quasi pesante. (89/100)

Vino da Tavola di Vallagarina San Leonardo 1991 Marchese Carlo Guerrieri Gonzaga Tenuta di San Leonardo. Al naso è ancora fresco ed elegante, un vino montano dal portamento orgoglioso. Al naso tanta frutta, lamponi, cedro e una traccia ferrosa. Continua con questo profilo anche al palato dove entra leggiadro e con una leggera affumicatura e con una speziatura di pepe. Il vegetale rimane molto in sottofondo, ha una bella lunghezza ma nei minuti si scompone nel bicchiere. (90/100)

Canon Fronsac 1995 Château La Fleur Cailleau. Uno dei pionieri della biodinamica nel bordolese. Un terroir molto interessante, ai margini delle denominazioni più famose ma più accessibile anche in termini di prezzo. Questo è un naso elegante, dapprima chiuso e minerale e via via più disponibile. Profondo e morbido, odora di cassis, confettura di lamponi, chinotto e presenta una forte impronta minerale. I tannini sono marcati, forse anche troppo, finisce con note di rabarbaro, liquirizia e fiori. Austero. (91/100)

Margaux 1994 Château Rauzan-Ségla. Un altro millesimo difficile, rivelato da una sottile nota vegetale. Le note di affumicatura e caffè rimandano al 60% di legno nuovo. Poi si sentono la carne, il sangue, la liquirizia e dopo qualche minuto anche la rosa. È il vino più tannico e forse il tappo non era perfetto, da cui una certa asciuttezza del palato. Ha però eleganza e lunghezza da vendere. (91/100)

Vino da Tavola Rosso dell’Abbazia 1993 Serafini e Vidotto. Una evoluzione molto graziosa, le note fruttate di confettura di mirtillo accompagnano il tartufo bianco e la carne. Un liquido elegante, coerente ed equilibrato. Non ha i tannini più fini ma l’insieme funziona molto bene. Ancora una volta questo ’93 si piazza ai vertici delle nostre degustazioni. Complimenti. (92/100)