Vecchie vigne, andateci piano

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Adoro i vini delle vigne vecchie. Ne ho scritto anche nel mio libro “Esercizi spirituali per bevitori di vino”. Io credo che abbiano davvero qualcosa in più, soprattutto nella grana finissima dei tannini, nella rarefazione dei profumi e di conseguenza nell’eleganza del vino. Guardo dunque con grande favore a ogni iniziativa che metta al centro le vigne cariche di anni. È per questo motivo che ho seguito la presentazione del progetto del The Old Vine Registry, promosso e sostenuto niente meno che da un mito della critica enologica internazionale come Jancis Robinson. Di fatto, l’idea è quella di una catalogo globale on line dei vecchi vigneti, compilato in modalità crowd-sourced, e pertanto basato sulla contribuzione spontanea dei vignaioli e sull’altrettanto spontaneo controllo da parte degli utenti. Una sorta di Wikipedia delle vigne vecchie di tutto il mondo, insomma, che censisca e promuova l’eredità culturale e viticola di quelle che Sarah Abbott, cofondatrice del progetto, ha definito con piena ragione delle living lessons, delle lezioni viventi. Così come ha perfettamente ragione la wine writer Tamlyn Currin quando dice che “non importa tanto che si tratti di bei vigneti, importa che non li perdiamo, che non perdiamo biodiversità”. In più, nelle intenzioni dei promotori, il registro dovrebbe anche avere una finalità di valorizzazione dei vini che provengano da quei vigneti vetusti, “rendendoli tangibili e desiderabili sul mercato”, al punto da farne una categoria vinicola a sé. Molto, molto bene. Ma c’è un problema piuttosto grosso, che deve indurre alla prudenza.

Il problema è che in Italia non si può scrivere in etichetta “vecchie vigne” o “vigna vecchia” o roba del genere. La legge che lo vieta è la 238 del 2016, ossia il cosiddetto testo unico del vino. Uno spiraglio c’è, ma avvalersene è piuttosto complicato. Per capire la questione bisogna andare con ordine, a partire dal se e dal come si possa scrivere la parola “vigna”, prima ancora che “vecchia”.

Il testo unico del vino definisce con precisione quando e come sia possibile usare la menzione “vigna” nell’etichettatura di un vino. Le regole sono queste, e vanno rispettate contemporanemente tutte quante: 1. il vino può essere solo a denominazione di origine (niente igt, niente vini generici); 2. il disciplinare della denominazione di origine deve consentire l’uso della menzione vigna seguita dal relativo toponimo (un nome geografico) o dal relativo nome tradizionale (un nome usato da molti anni per il vino che viene da quel preciso vigneto); 3. il toponimo o il nome tradizionale devono essere iscritti a un apposito elenco regionale attraverso l’iter previsto dalla regione (in genere, la pratica viene inotrata alla regione dai consorzi di tutela); 4. il vino deve essere prodotto esclusivamente con le uve provenienti dalla superficie vitata che corrisponde al toponimo o al nome tradizionale; 5. la vinificazione di queste uve deve avvenire separatamente dalle uve provenienti da altri vigneti; 6. la provenienza delle uve e la separazione della loro lavorazione deve trovare attestazione nei registri di cantina. Nessuno si illuda di poter fare il furbo eludendo la legge con lo scrivere, al posto di “vigna”, un sinonimo come “vite” o “vigneto”: la legge dice che la trafila sopra ricordata si applica sia alla menzione vigna, sia ai suoi sinonimi.

Tutto questo riguarda solo il nome “vigna”. Scrivere che quella “vigna” è anche “vecchia” è ancora più complicato. Bisogna sapere che tutti i vigneti italiani sono censiti dall’anagrafe vitivinicola nazionale. Perché si possa dire che un vigneto è “vecchio” occorre che da tale anagrafe risulti un’età del vigneto almeno quarantennale. Ecco qui lo spiraglio, che tuttavia non consente assolutamente di scrivere soltanto “vigna vecchia”, bensì obbliga a scrivere il nome specifico di quella determinata vigna che rispetti le caratteristiche che ho detto prima e solo successivamente permette di specificare che si tratta di una vigna “vecchia”.

Riassumendo, se c’è una doc che consenta di usare la menzione “vigna” e se un produttore di quella doc ha un vigneto che si chiama Tal dei Tali iscritto come “vigna Tal dei Tali” nell’apposito registro regionale, in etichetta è possibile scrivere “Vigna Tal dei Tali”, e solo dopo, ammesso che i dati del censimento dell’anagrafe vitivinicola nazionale dimostrino una data di impianto verificata almeno quarantennale, si può scrivere anche “vecchie viti”: scrivere “Vigna Tal dei Tali vecchie viti” in questo caso è legittimo, ma capite che la trafila è complessa.

Spero, con questo, di essere stato sufficientemente chiaro. Spero, soprattutto, che nessuno pensi che l’eventuale auto iscrizione on line del proprio vigneto nel The Old Vine Registry gli dia una specie di lasciapassare per scrivere “vigne vecchie” in etichetta. Che poi vi piaccia partecipare a un grande progetto globale, quello è un altro discorso. Anzi, vignaioli, vi esorto ad aderire, ma attenti a non violare la legge, perché le conseguenze possono essere molto serie.

Purtroppo, di tutto questo non ho sentito parlare da chi ha promosso il registro internazionale. Credo che sarebbe bene specificarlo, a beneficio dei produttori e dei consumatori.