Lambrusco something

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Il Lambrusco emiliano è come un volume affascinante, che si dipana attraverso sei densi capitoli – l’uno diverso dall’altro, ma anche l’uno complementare all’altro -, capaci di formare, insieme, un qualche cosa che rassomiglia a un romanzo epico, o a un poema: sono le denominazioni di origine del Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, del Lambrusco di Sorbara, del Lambrusco Salamino di Santa Croce, del Lambrusco di Modena, del Lambrusco Reggiano e del Lambrusco dei Colli di Scandiano e di Canossa, a loro volta figlie, queste doc, di dodici diverse varietà di lambrusco, talora usate singolarmente, talatra in uvaggio. Il tutto si articola su diecimila ettari totali di vigneto – che sono tanti – nelle province di Reggio Emilia e di Modena e su relativamente pochi produttori, perché quella lambruschista è soprattutto terra di grosse cooperative, che raccolgono le uve di cinquemila viticoltori, trasformandole in 40 milioni di bottiglie di Lambrusco delle varie doc e in un centinaio di milioni di bottiglie nell’igt, segmentate nei filoni delle produzioni ancestrali, frizzanti e spumantizzate (quasi sempre con il metodo charmat). È dunque talmente ricco di sfaccettatture, questo patrimonio vitivinicolo padano, che parlare genericamente di Lambrusco appare fuori luogo, giacché è necessario semmai parlare sempre di “Lambrusco something“, ossia – appunto – di Lambrusco più una precisa accezione geografica o stilistica, come ha saggiamente suggerito il primo Master of Wine italiano, Gabriele Gorelli, nel corso di una brillante masterclass che ha tenuto a Vinitaly per conto del Consorzio di tutela del Lambrusco, e ci voleva proprio una visione olistica del vino come quella che può avere un ottimo Master of Wine per tratteggiare in una semplice pennellata, fuori da ogni retorica e scevra da qualsiasi pregiudizio, una realtà così complessa e suggestiva.

Alle lezione avevo deciso di prendere parte perché nutro una grande stima per Gorelli, perché sentire un Master of Wine che parla di un vino “popolare” come il Lambrusco è piuttosto inconsueto e poi anche perché il presidente del Consorzio, Claudio Biondi, aveva fatto questa promessa: “si potrà ottenere in una sola ora una prima panoramica dell’universo Lambrusco”. Ebbene, le promesse sono state mantenute e le aspettative sono state appagate, giacché la carrellata proposta si è articolata su nove etichette perfettamente rappresentative delle differenti denominazioni e degli stili caleidoscopici dell’universo del “fizzy Lambrusco” (sempre definizione di Gorelli). Nove vini tutti molto buoni, con qualche punta che ho trovato a dir poco entusiasmente, e mi domando, dunque, se non sia proprio il Lambrusco a tornare ancora una volta – per l’ennesima volta – a essere il vino passepartout del futuro immediato, quello che risponde ai nuovi gusti dei bevitori con la sua proverbiale godibilità, con la sua giocosa ma anche seria frizzantezza e con una relativa leggerezza d’alcol, altrove ormai purtroppo impensabile. Se ci si mette poi che il savoir faire enologico ha assunto livelli di considerevole sicurezza e affidabilità, ci sono tutti i presupposti per un’altra prolungata stagione d’oro del Lambrusco. (E ammetto che anch’io lo bevo sempre più spesso.)

Qui di seguito do rapido conto delle mie impressioni.

Lambrusco di Sorbara Ancentrale, Francesco Bellei & C. Secchissimo, ha il fruttino acidulo e selvatico, le erbe di prato e una succosa presenza di agrumi, che rinfresca e ingolosisce la serietà del sorso. (92/100)

Lambrusco di Sorbara Pietrarossa, Pezzuoli. La caramellina dolce al lampone tradisce i quasi nove grammi di zucchero residuo. La vena umami lo rende perfetto in associazione con i brodi, i bolliti e la cucina grassa. (86/100)

Lambrusco Reggiano Il Lombardini, Cantine Lombardini. Fatto con l’uva del lambrusco salamino, è morbido, ma ben bilanciato dall’acidità. Sa decisamente di mora. Il lungo finale tannico lo rende assai gastronomico. (88/100)

Lambrusco Reggiano Concerto, Medici Ermete. Vestito d’un brillante, intenso colore rubino che sfuma nel viola, offre un sorso amaricante di bitter e insieme anche dolce di frutto. Un classicissimo, ghiotto e didascalico. (90/100)

Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Vigneti Cialdini, Cleto Chiarli. Un single vineyard, un caposcuola. Fonda la propria identità sul lato tattile, quasi materico. Lo zucchero, alto, è perfettamente bilanciato dall’acidità. (90/100)

Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Vini del Re, Cantina Settecani. Fruttini, tanti fruttini e un che di dolceamaro che ricorda il bitter, perfino lo spritz. Vino rotondo di frutto, giocoso. La bolla è suadente e cremosa. (88/100)

Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Corleto, Villa di Corlo. Vino serissimo, già dalla tinta profonda dice di una macerazione prolungata. Tannicissimo, salato e iper fruttato, fa salivare e chiama il cibo. (92/100)

Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Semprebon, Fattoria Moretto. Mica facile fare un Lambrusco amabile equilibrato, con trenta grammi di zucchero, eppure questo ha un sorso tra il setoso e il gessoso. (89/100)

Lambrusco Colli di Scandiano e di Canossa Codarossa, Albinea Canali. La sorpresa. Coi suoi cinquanta grammi di zucchero, sfodera un’avvolgenza vellutata e una sfericità del frutto sorprendente. Lo voglio! (93/100)