Lasciate che Ricasoli si diverta a macerare il trebbiano

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“I tempi sono cambiati, / gli uomini non domandano più nulla / dai poeti: / e lasciatemi divertire!” A scrivere questi versi, nel primo decennio del Novecento, fu Aldo Palazzeschi. C’è chi li interpreta come una specie di manifesto della sua poetica, una specie di affermazione alla dimensione giocosa dell’arte. Non me ne intendo abbastanza per esprimere un parere. So solo che questi versi, questa rivendicazione artistica del divertimento, mi vengono in mente quand’ho l’occasione di avere nel calice certi vini che non sarebbero mai esistiti se i produttori non avessero voluto togliersi uno sfizio tutto loro. Quanti ne ho sentiti, per esempio, di vignaioli che mi hanno detto di aver voluto provare a vinificare il pinot nero per cavarsi la soddisfazione di un confronto con un’uva tanto pregiata eppure così difficile da domare. Oppure che han provato a fare un metodo classico con varietà poco convenzionali o a sperimentare qualcheduna di quelle varietà resistenti agli attacchi fungini che chiamano piwi o a far passire certe uve per vedere come va. Alcune volte, questi giochi non portano a nulla, e vengono presto dimenticati, altre volte generano dei vini capaci di procurare un brivido di lussuria al bevitore in cerca di personalità.

Posso affermare che appartiene alla seconda categoria quel “vin bianco” del 2020 che Francesco Ricasoli ha messo in bottiglia sotto il nome di Sanbarnaba e l’emblema del Castello di Brolio. Insomma, si tratta d’un bianco macerato fatto uscire da quella che è la casa storica dei rossi chiantigiani (il Castello di Brolio rimanda dritto dritto al barone Bettino Ricasoli, due volte primo ministro nell’Italia del dopo Cavour, nonché leggendario creatore della “ricetta” del Chianti Classico), e già questo ti solletica a provarlo. Mi ha raccontato, Ricasoli, che era da un po’ che ci sperimentava sul trebbiano di Brolio, figlio di biotipi ritrovati in tenuta. Il progetto prevedeva che, una volta diraspato e pigiato, il trebbiano venisse fermentato in anfore di cocciopesto, tenendolo in macerazione sulle bucce per tre mesi. Poi, l’affinamento doveva continuare una parte ancora in cocciopesto, un’altra in acciaio e una parte ancora in tonneuax di secondo e di terzo passaggio. Nel 2020 il progetto s’è compiuto con il vino che è andato in bottiglia e che io ho avuto nel calice. A dire il vero, nel bicchiere ce l’ho avuto per poco, perché era un sorso e stavo assaggiando, ma conterei di averne quanto prima una più generosa porzione da godermi sulla tavola. Infatti, quell’amalgama felice tra frutto giallo polposo e freschezza agrumata e sale ne fa un compagno potenziale di molti abbinamenti gastronomici anche inusuali (non solo il solito aperitivo o il pesce, quest’è un vino “serio”, che bevuto non freddo sostiene le carni d’aia o i formaggi toscani, per dire). Ancora di più mi piacerebbe, in un giorno futuro, riberlo quand’è invecchiato, perché ha tutti i crismi per reggere benissimo lo scorrere del tempo, e anzi per giovarsene.

Che altro dire? Ah, il nome, quel Sanbarnaba tuttattaccato che si legge stampigliato sull’etichetta. Rimanda – ho letto – al vigneto contrappuntato da una vecchia edicola dedicata a san Barnaba protettore degli agricoltori. Lo si celebra infatti, questo santo vignaiolo cipriota, l’undici di giugno, quando comincia il rischio delle grandinate sulle vigne che stanno fiorendo. Tuttavia, pare che a Tenerife fosse invece chiamato a proteggere i campi dell’isola contro la siccità. Con la scarsità d’acqua degli ultimi anni, potrebbe tornar buona questa sua specialità.

Toscana Vin Bianco Sanbarnaba Castello di Brolio 2020 Barone Ricasoli
(92/100)

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